Legnano – Stiamo assistendo ancora ad un periodo molto complicato, con una forte componente di avversione al rischio ritornata a contagiare il mercato e le menti degli investitori a seguito di un paio di giorni che, per qualche istante, hanno fatto pensare ad un “miracoloso 2012”.
Siamo tornati alla realtà con un dollaro che sembra voler recuperare il tempo perso nei mesi passati, alimentato dalla contrapposizione, resa evidente, dalle recenti pubblicazioni di dati macro. Da un lato troviamo un dollaro in grande spolvero, grazie allo status di bene rifugio amplificato da una serie di dati particolarmente positivi, dall’altro troviamo una moneta unica che fa fatica a difendersi a causa di una serie, mai finita, di segnali negativi.
Andiamo con ordine. Il mercato del lavoro americano, venerdì, ha confermato la tendenza inizialmente anticipata il giorno prima, grazie alla rilevazione dell’indicatore ADP, mostrando una creazione di 200 mila nuovi posti di lavoro (ad esclusione del settore agricolo, i famosi Non Farm Payrolls): questa ottima rilevazione, oltre ad aver ispirato il mercato per una ripresa economica molto vicina, è riuscita a portare il tasso di disoccupazione ad un ben augurante 8.5%, il minimo degli ultimi anni e di due decimi di punto meglio del dato previsto. La Fed si basa in forte misura sul mercato del lavoro per le decisioni in materia di tassi: senza voler arrivare ad un rialzo prematuro, che avrebbe effetto contrario se non sostenuto da una forte ripresa, l’idea è che forse potrebbe cominciare a cambiare qualcosa nel linguaggio utilizzato durante le prossime riunioni.
Passando invece al Vecchio Continente, abbiamo assistito per tutta la settimana passata a pesanti vendite di moneta locale, così da riportare il cambio EurUsd al minimo da settembre 2010. L’impossibilità dell’Unione di controbattere a dati americani dall’impatto così forte ha fatto il resto. In misura minore crediamo possa aver pesato, sul finire di settimana, anche l’asta di titoli di stato francesi a lunga scadenza che ha visto un aumento dei rendimenti ed una minor richiesta da parte degli investitori.
La settimana entrante sarà in buona misura incentrata proprio sull’Europa, poiché oltre ai dati tedeschi sulla produzione industriale e sul prodotto interno lordo è prevista la riunione della Banca Centrale Europea per decisioni in materia di tassi.
Passiamo a dare ora uno sguardo ai grafici.
Ne parlavamo già poco sopra, la situazione della moneta unica nei confronti del dollaro si sta complicando sempre più. La discesa di più di quattrocento punti avvenuta nella settimana passata ha, come abbiamo già visto, portato al oltrepassare il minimo di riferimento nei pressi di 1.2850, aprendo la strada a livelli visti ad agosto scorso. Pensiamo infatti che sembra non esserci più alcun supporto di riferimento prima di poter rivedere il cambio in area 1.26 (non troppo lontano considerando che questa notte abbiamo già raggiunto 1.2665). La forte tendenza ribassista, che insiste da inizio novembre, continua a rimanere valida e, dopo essere quasi stata raggiunta la settimana passata, indica per avere un’inversione di scenario favorevole all’euro un livello di resistenza dinamica a 1.3050.
Il cambio UsdJpy, risente in misura minore, della forza del biglietto verde poiché, ovviamente in questa continua fase di incertezza, sono molto forti anche i flussi di capitali verso il Giappone. Successivamente al movimento ribassista di inizio settimana scorsa, i prezzi si mantengono tuttosommato in equilibrio a un livello prossimo a 77. Continuiamo a suggerire di prestare la massima attenzione al livello di supporto che si trova a 76.55, dato che oltre questo il minimo storico, visto a fine ottobre, potrebbe essere nuovamente raggiunto.
Il cambio EurJpy ha, ovviamente, seguito il calo continuo della moneta unica, andando così a raggiungere un nuovo minimo a 97.25. La tendenza si fa sempre peggiore e l’obiettivo sul minimo di ottobre 2000 non appare poi così lontano. Un grafico di lunghissimo periodo, almeno un settimanale, evidenzia un livello di supporto intermedio a 96 che forse potrà rallentare un poco questa rinnovata pressione ribassista.
Il calo del cable, meno esplosivo di quello dell’euro, ha avvicinato i prezzi al minimo di 1.5360 osservato sul finire dell’anno. Questo non è un livello da sottovalutare poiché, unendo il minimo precedente di ottobre a 1.53, troviamo un’area che supporta i movimenti dei prezzi sino da luglio del 2010. Da questo capiamo come, anche la situazione della sterlina, seppur migliore come dicevamo della moneta unica, potrebbe velocemente peggiorare oltre quest’area di supporto molto rispettata, seppur in più occasioni infastidita, da un anno e mezzo.
Anche il cambio EurChf ha risentito della debolezza della valuta dell’Unione Europea. I prezzi, non essendo riusciti per più volte ad oltrepassare la prima resistenza chiave a 1.22, hanno lasciato sul terreno nuovamente 60 pip avvicinando i prezzi all’area di supporto che da qualche giorno stiamo utilizzando come efficiente livello di riferimento, 1.2125. Questo sarebbe il quarto tentativo di rottura visto da settembre scorso e una pressione maggiore del solito potrebbe condurre nuovamente il cambio su livelli sgraditi alla Banca Centrale stessa, distogliendo l’attenzione dell’Istituto dallo scandalo che sembra aver colpito il presidente della SNB stessa, Hildebrand, accusato di aver speculato sul mercato dei cambi da una posizione “privilegiata”.
La correzione delle valute ad alto rendimento ha condotto il cambio AudUsd a ribasso oltre il supporto considerato importante di 1.02. Un grafico giornaliero da fine novembre chiarisce come questo movimento stia avvicinando il cambio alla tendenza rialzista, passante per 1.01, con origine proprio il 25 novembre scorso.
Concludiamo con un aggiornamento sul petrolio che sta dando prova, ancora, di considerare importante la linea di tendenza negativa rotta già la settimana passata. In questo caso come livello di supporto che sino ad una rottura (questa transita per 1.01) continua a testimoniare una tendenza di espansione per il greggio.
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