Società

IL ROSSO E IL NERO

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VERRA’ UN GIORNO

Prima della fine dei tempi i tassi risaliranno, ma saremo tutti
preparati e organizzati. I mercati, intanto, sprecano energie in
inutili esercitazioni. I veri pericoli sono altrove.
Se ci fosse l’Oscar per la distruzione di ricchezza lo assegneremmo
quest’anno ai modelli econometrici che si basano (su che altro potrebbero
basarsi, del resto?) su lunghe serie storiche di dati.

Questi modelli affondano le
loro radici nell’era dell’inflazione e, per definizione, non colgono il nuovo,
questo fastidioso elemento del reale che, due o tre volte al secolo, inquina la
purezza scientifica dell’approccio quantitativo.

Il nuovo (ma ormai neanche tanto) è che il tempo che ci troviamo ad abitare
è quello della deflazione strutturale e dell’emersione di Cina e India come
gigantesche creatrici di domanda ma, soprattutto, di offerta. Se si scoprisse
questa sera che Marte è popolato da due miliardi e mezzo di uomini simili a noi
che, da domani mattina, sono disposti a commerciare con noi la cosa non
passerebbe inosservata. Dal momento invece che quei due miliardi e mezzo
sono qui sulla Terra, si fa una gran fatica a incorporarli nei nostri schemi
mentali.

Uno degli aspetti più recenti di dannosità dei modelli (non in sè,
ovviamente, ma quando male intesi) è offerto dalle periodiche grandi paure che
affliggono la parte lunga (e anche, e in proporzione ancora di più, la parte
breve) delle curve dei rendimenti.
All’anno quinto dell’era della deflazione strutturale i bond ragionano come
se fossimo ancora nel mezzo secolo precedente. Confondono reflazione con
inflazione e pensano che le banche centrali siano lì nervosissime con il piede
sul freno. E che più si aspetta a frenare più la frenata sarà drammatica, con
crollo di borse, bond, case, commodities e di tutto quello che vi viene in mente.

Il modello dice che più alto è il rumore del motore della macchina più alta è
la velocità a cui sta andando e che più alta è la velocità più bisognerà frenare.
Il modello però non vede che la macchina era parcheggiata in discesa (con il
muso a monte e la coda a valle) ed era in folle. Dare gas in questo contesto
non significa andare a 200 all’ora. Significa solo riuscire a non scivolare
all’indietro e magari, se tutto va bene, andare avanti piano.

E’ affascinante vedere come le aspettative dei mercati, benche’ smentite
implacabilmente e ferocemente da tre anni, siano sempre di tassi in rialzo. Il
fatto che la Fed gridi a perdifiato che non alzerà i tassi e lo metta per iscritto dal
notaio una volta al mese rassicura i mercati per qualche giorno, ma l’effetto
svanisce presto e diventa addirittura negativo quando, in un esercizio di
nevrosi, ci si mette a pensare che la Fed si è messa da sola nell’angolo, che
non sa più come uscirne, che più rimanda peggio è, come quando bisogna
andare dal dentista. Come se fosse obbligatorio cavarsi un dente ogni tanto, tanto per punirsi.
Come se crescere tanto fosse una colpa da espiare.

In realtà la Fed non vede la ripresa come una vorace rampicante che sta
per far crollare il muro, ma come un esile fiorellino che cerca di crescere in un
ambiente ostile e che va protetto e riempito di attenzioni. Abbiamo avuto il
trimestre dei consumi. Adesso abbiamo il trimestre della produzione. Ma come
sarà il primo trimestre del 2004? Ci sarà una ripresa degli investimenti? E se ci
sarà, riuscirà a creare occupazione?
In fondo finora abbiamo visto la parte facile. Riempite di soldi le tasche
della gente e i consumi ripartiranno. Fate ripartire i consumi e le aziende
dovranno mettersi a produrre di più, se non altro per ricostituire le scorte. Ma
che succede se le cose finiscono qui? Mettiamo anche che il rischio di ricaduta
sia piccolo, ma se la ricaduta è fatale bisogna evitarla a tutti i costi.
Da qui la chiarezza insolita e quasi disperata con cui la Fed ci spiega che i
tassi rimarranno fermi molto a lungo. Quando sarà il momento di alzarli verrà
dato un ampio preavviso.

Vedremo piccoli slittamenti progressivi di linguaggio
nei comunicati Fomc. Mesi e mesi di preparazione per il primo quarto di punto
di rialzo. Altri mesi per il secondo.
Più si teme una cosa più ci si organizza (supponendo un minimo di
razionalità e di cooperazione) per contenerne gli effetti. Il Giappone si aspetta
da decenni un terremoto gigantesco e ha costruito tutto con criteri antisismici.
Abbiamo passato anni a temere chissà quali effetti devastanti della caduta del
dollaro e, proprio perchè si trattava di una bomba, ci siamo affidati ad abili
artificieri che hanno scelto il momento giusto per un’esplosione controllata e
sicura.

I veri guai non sono quelli che si temono. Sono quelli che non si temono (11
settembre) oppure quelli che ci capitano quando abbassiamo la guardia e
allentiamo i freni inibitori (bolla degli investimenti e delle borse del 1999-2000).
Qualcuno vede oggi in giro segni di euforia o stati maniacali? A parte un po’
di schiuma sul Nasdaq non si può dire. Gli utili operativi sull’S&P 500 sono
tornati ai livelli del 1999-2000, ma l’indice è a 1040, non a 1550. E se Bank of
America (una banca dal nome altisonante ma gestita con grandissimo buon
senso e prudenza da uomini della provincia profonda del profondo Sud) si
compra FleetBoston (pagandola generosamente ma facendo una mossa
strategicamente perfetta), tutti la criticano per l’azzardo. Quando per contro i
vari Messier, Bon o Sommer, quattro anni fa, decidevano deliranti acquisizioni
oltreoceano tutti li applaudivano e li incitavano a fare ancora di più, in un
tripudio di pupille dilatate e pulsazioni accelerate.

I pericoli dunque esistono, ma non sono là dove li cerca il mercato. Sono
semmai, come abbiamo visto, nella possibilità che non ripartano gli
investimenti. Sono nel rallentamento imminente della Cina (che provocherà per
inciso un rallentamento del rialzo dei corsi delle materie prime). Sono, in
America, nei programmi di molti candidati democratici alla presidenza (tassare
e spendere come al solito, ma più del solito e soprattutto spendere), di cui i
mercati non sembrano ancora avere preso visione. Sono quei rischi geopolitici
cui si pensa sempre meno.

Sono tutti pericoli che spingeranno la Fed a premere l’acceleratore, se
possibile, ancora più di adesso, non certo a frenare. Per questo avremo ancora
mesi di proficuo carry trade per i bond e di borse in moderato e graduale rialzo.

*Alessandro Fugnoli e’ strategist di Abaxbank