(WSI) – Immaginate di sedere in sala e di vedere tre film contemporaneamente. Non su tre schermi, che è già difficile, ma su uno solo, in sovrimpressione. Il primo film si intitola “Riaccelerazione”, il secondo “Margini” e il terzo “Petrolio”.
Il primo film è, o dovrebbe essere, il più importante. La sceneggiatura l’ha scritta Greenspan. Racconta di una crescita americana sostenibile, destinata a riprendere velocità dopo la pausa di giugno. Parla di una forte crescita dell’occupazione, di ricostituzione delle scorte e di ripresa prossima ventura degli investimenti produttivi. “Riaccelerazione” è seguito da un documentario intitolato “Riequilibrio”.
I toni sono edificanti. Dopo un’introduzione sugli squilibri strutturali del mondo (un’America che consuma troppo, mentre Europa e Giappone consumano troppo poco) si parla dei rimedi. Il più facile e radicale è la svalutazione del dollaro. Ne è stato fatto ampio uso negli ultimi due anni e in futuro si continuerà a farvi ricorso, ma con prudenza e, se possibile, non come rimedio principale. Accanto al cambio, del resto, si sta già facendo ricorso ad altri mezzi. Negli Stati Uniti imprese, consumatori e governo si muovono verso una maggiore creazione di risparmio (o una minore distruzione di risparmio).
Le imprese hanno imparato a usare oculatamente il capitale e quando non vedono prospettive redditizie di utilizzo lo restituiscono agli azionisti. Per i privati basteranno limitati rialzi dei tassi (e il conseguente arresto del bull market immobiliare) per indurre consumi più cauti e maggiore risparmio. Quanto al governo, l’anno prossimo inizieremo a vedere una politica fiscale più sobria, per non dire moderatamente restrittiva.
Il riequilibrio ha anche un versante giapponese ed europeo. Il Giappone ha già imparato a consumare e ci ha preso gusto. In Europa ci sono finalmente segnali incoraggianti. In Francia, per esempio, i consumi stanno crescendo a ritmi cinesi (8.6 per cento di aumento rispetto a un anno fa). Perfino in Germania, dopo anni di discesa, ci sono segni di risveglio. Anche le imprese europee, che in questi ultimi tre anni hanno risanato il loro stato patrimoniale, sono pronte a spendere di più in investimenti.
Con una Cina in crescita sostenibile (diciamo il 7 per cento), un’Europa e un Giappone che consumano e investono e un’America che risparmia di più, il mondo diverrebbe più stabile, con beneficio a lungo termine per tutti gli asset finanziari.
Il secondo film che viene proiettato, “Margini”, è meno ottimista, senza per questo essere pessimista. Negli Stati Uniti la riduzione dei margini è già iniziata da qualche mese. Il dollaro ha recuperato terreno, il petrolio è più caro, il denaro costa di più e ai 200mila che ogni mese vanno ad accrescere il numero degli occupati bisogna dare uno stipendio. Sono tutti costi in più, per le imprese, e vanno a ridurre i margini. E’ un processo in larga misura fisiologico, a questo stadio del ciclo.
La riduzione dei margini non ha finora impedito un aumento dei profitti, che per il secondo trimestre si profilano del 25 per cento più alti rispetto a un anno fa, mentre per inciso l’SP 500 è salito nel frattempo solo dell’8 per cento. I profitti, dunque, saliranno ancora, anche se a un ritmo via via più lento. Sulla base di questo discorso la borsa, dopo avere correttamente assorbito con una discesa la decelerazione della crescita degli utili, è ora pronta, quando troverà un catalizzatore, a ripartire lentamente.
Ecco però il terzo film, “Petrolio”, che irrompe con il suo disordine negli schemi ordinati e sofisticatidi “Riaccelerazione” e di “Riequilibrio”. E’ un film inquietante, popolato di terroristi che fanno saltare i pozzi, di lotte di potere in Russia, di petrolio pesante abbondante e attualmente inutile e di petrolio light (quello che serve per produrre la benzina) sempre più raro e costoso, di raffinerie che riducono la capacità produttiva (per vincoli ambientali che stanno entrando in vigore) proprio mentre c’è un disperato bisogno di accrescerla, il tutto in un contesto di offerta che tiene dietro a fatica alla domanda in rapida crescita.
L’ultimo episodio, “Yukos”, in tempi normali sarebbe passato inosservato. Il Cremlino vuole riprendersi il controllo di una società che produce quanto la Libia e che nei mesi scorsi gli ha fatto opposizione. Allo scopo si usa, in stile russo, una notevole grevità, ma lo scandalo che si mena in Occidente suona ipocrita. Ve la immaginate la Total che fa opposizione all’Eliseo? In tutto il mondo l’industria petrolifera è gestita o direttamente dallo stato o dagli amici del potere.
Perché dovrebbe fare eccezione proprio la Russia? La nostra ipotesi è che l’esproprio di Yukos avrà tempi brevi e avverrà senza troppi danni per la produzione (perché il Cremino dovrebbe farsi del male da solo?). La capacità russa di fare pasticci non va però mai sottovalutata e non è da escludere qualche altro danno per i mercati e per le economie.
Vedere contemporaneamente un film incoraggiante, uno crepuscolare e uno inquietante ha un comprensibile effetto paralizzante sui mercati. La linea di minore resistenza è di grande prudenza sulle borse, di riposizionamento dei
bond a metà strada tra carry trade e paura della riaccelerazione (a partire dall’Employment Report del 6 agosto) e per il dollaro il rientro nella fascia centrale del trading range in cui si muove ormai da cinque mesi.
*Alessandro Fugnoli e’ strategist di Abaxbank