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IL ROSSO E IL NERO: RE GIORGIO

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*Alessandro Fugnoli e’ strategist di Abaxbank

(WSI) – Fa una certa impressione sentire David Boaz, direttore dell’area Politiche Fiscali del Cato Institute, dichiararsi preoccupato e mostrarsi scuro in volto sulla Cnbc il giorno della vittoria di Bush. Fa impressione perchè il Cato Institute è il più prestigioso dei think tank conservatori ed è tradizionalmente vicino al partito repubblicano.

E’ probabile che la stessa preoccupazione la viva in questo momento il governatore della Fed, il repubblicano Greenspan, insieme alla maggioranza dei senatori repubblicani. La preoccupazione è che l’Amministrazione e i deputati repubblicani facciano esplodere il disavanzo pubblico nel secondo mandato di Bush. Oggi a Washington sono repubblicani la Casa Bianca, il Senato, la Camera dei Rappresentanti, la Federal Reserve e la Corte Suprema.

Su tutti i palazzi del potere che si affacciano sul Mall sventola la stessa bandiera politica. C’è però una legge non scritta, nella politica, per cui chi stravince è destinato a vedere crescere il conflitto al suo interno. Lo vediamo in Italia, ma anche in Francia, dove tra Sarkozy e de Villepin è in corso una guerra sorda e dura per il dopo Chirac.

Se si escludono gli elementi ideologici o culturali, la prima presidenza Bush è stata simile alla presidenza Johnson e alla prima presidenza Reagan, amministrazioni che hanno speso sia per il burro (della Great Society o dei tagli fiscali) sia per i cannoni (del Vietnam o del riarmo antisovietico). La presidenza Johnson ha preparato il terreno alla svalutazione del dollaro del 1971 e alla crisi petrolifera del 1973.

La prima presidenza Reagan ha preparato i sette anni di caduta del dollaro tra il 1985 e il 1992. Succederà lo stesso questa volta? Certo, dicono gli economisti democratici con in testa Larry Summers. Certo che no, dicono gli economisti della Casa Bianca Mankiw e Hubbard (quest’ultimo, dopo il voto di ieri, probabile successore di Greenspan nel 2006). La Fed di Greenspan sta in mezzo e si preoccupa cercando di non drammatizzare.

Il ragionamento della Fed di Greenspan è il seguente. Finchè si tratta di fare posto alla guerra al terrorismo noi faremo il nostro dovere patriottico tenedo i tassi reali a zero o, se occorre, sotto zero. Se volete mantenere i tagli fiscali a noi va benissimo, ma solo se tagliate parallelamente le spese non militari. Se non lo fate, guerra o non guerra noi continueremo ad alzare i tassi, portando quelli reali sopra zero.

Se poi vi mettete a spendere su quello che avete promesso in campagna elettorale, li alzeremo ancora di più. Gregory Mankiw negli ultimi mesi ha speso più volte la sua faccia di stimato accademico per promettere un dimezzamento del disavanzo pubblico entro la fine del secondo mandato Bush.

Per arrivare a questo obiettivo occorre, riteniamo, che non ci siano più guerre e che prevalgano i repubblicani fiscalmente responsabili su quelli più ideologici o in preda a hybris da onnipotenza (quella per cui si dice che ci sarà talmente tanta crescita da stabilizzare il rapporto deficit/Pil anche se si spende di più). Sulla questione della guerra crediamo che questa amministrazione non abbia nessuna intenzione soggettiva di farne un’altra.

Chi, tra gli osservatori, si è già messo a parlare di Iran o di Corea è completamente fuori dalla realtà. Per quanto riguarda le tasse, Bush manterrà la promessa di non riaumentarle e non farà l’errore di suo padre, che disse Read my lips, no new taxes e poi le aumentò e perse le elezioni. Tutto si giocherà quindi sulle spese. Vedremo scontri molto duri tra Senato e Camera e, alla fine, ci si troverà a metà strada.

Questo vuol dire che il disavanzo non si dimezzerà come dice Mankiw, ma si ridurrà di pochissimo, quasi simbolicamente. Tutto questo, ovviamente, escludendo altri 11 settembre da qui al 2008. La Fed, quindi, continuerà ad alzare i tassi. Lo farà lentamente e con prudenza, ma lo farà. Si avvicina il momento in cui stare corti di dollari comporterà un costo di carry.

La nostra scommessa è che, in ogni caso, continuerà a non essere un problema il finanziamento del disavanzo corrente americano (generato in larga misura dal disavanzo pubblico). I tassi saliranno perché così vuole la Fed (almeno finché non arriverà Hubbard), non perché le banche centrali asiatiche smetteranno di avere voglia di comprare titoli americani. Insomma, i prossimi quattro anni, per quanto si può capire, non vedranno la catastrofe. Non ci sarà il crollo catartico di borse, bond e dollaro alla Stephen
Roach.

Ci sarà un dollaro gradualmente più debole, con l’adozione cinese di un peg non più con il dollaro ma con un paniere di valute. Si vivrà abbastanza pericolosamente, guidando la macchina dell’economia mondiale ad alta velocità su una strada stretta che dà sull’abisso, ma la perizia dei piloti e la straordinaria complicità tra Asia e Stati Uniti permetteranno di evitare disastri.

Uno scenario positivo per le borse, tutto sommato. E il petrolio? Qui vedremo, eventualmente, la coda del diavolo. Nello scenario ottimale petrolio e tassi saliranno gradualmente, senza soffocare la crescita. Non è impossibile, ma bisogna stare attenti. Nei prossimi mesi Bush continuerà a comprare petrolio per rafforzare le scorte strategiche.

Kerry, demagogicamente e irresponsabilmente, avrebbe interrotto gli acquisti, per cercare di fare scendere il prezzo. Che potrebbe scendere lo stesso, per lo meno nei prossimi tre mesi, man mano la produzione del Golfo del Messico tornerà alla normalità. PIù avanti, però, il problema tornerà a porsi drammaticamente.

La risposta di Bush, ora che il Congresso è ancora più repubblicano di prima, sarà petrolio dall’Alaska e gas naturale dalle Montagne Rocciose. Ci sarà uno scontro molto duro con una parte dell’opinione pubblica, ma se il greggio andrà sopra i 60 dollari la tentazione sarà irresistibile.

Una volta presa la decisione politica, tuttavia, occorreranno anni perchè la produzione abbia inizio. In compenso si fornirà ai mercati un motivo, di qui ad allora, per non farsi prendere troppo dal panico nei momenti più difficili. Venendo all’immediato, la conferma di Bush, il consolidamento del greggio e dati macro in riaccelerazione danno spazio per un piccolo rally di fine anno per Wall Street. Sui bond siamo neutrali e sul dollaro la strada è in discesa, ma non necessariamente subito.