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IL RITORNO DEGLI EX DC

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(WSI) – L’ultimatum a Berlusconi da parte degli sguscianti centristi dell’Udc può suonare innaturale come il ruggito del coniglio. Gli stessi leghisti, che dell’ultimatum in politica hanno fatto un’arte, sono allibiti: “Follini sembra Che Guevara”. Derisi e intimoriti per anni dal celodurismo e dal marinettismo della nuova destra, gli ex democristiani in un giorno rovesciano le parti, danno gli otto giorni a Berlusconi e svelano l’eterno bluff della Lega. Perché questi, i “soliti democristiani”, se ne vanno sul serio. Se Berlusconi non cambia rotta, lasciano la nave al suo capitano. E la nave affonda.

Il ruggito di Follini ha di colpo fatto tacere i festeggiamenti di corte intorno al principe. L’altro giorno Berlusconi sembrava tornato in sella con guizzo machiavellico e piglio padronale.

Aveva giocato Monti e i poteri forte alle spalle del professore, messo in trappola Fini e concentrato un immenso potere nelle sue mani, a dispetto dei santi e degli elettori. In più, con la personale regia dei telegiornali sulla presunta “conquista” di Bruxelles, il premier s’era rimesso al centro della scena mediatico-politica. Ma l’ultimatum dei centristi lo costringe a scendere da cavallo e a tornare da povero mortale all’affannosa ricerca di una “quadra”, nell’orgia politichese dei vertici romani. La “quadra” che già non s’era trovata nel caso Tremonti e che difficilmente si troverà ora.

Perché se Berlusconi reagisce da Berlusconi, s’aggrappa allo scettro della monarchia perduta e all’interim del Tesoro, ignora il Parlamento e nega l’evidenza della crisi, stavolta i centristi se ne vanno davvero. Se al contrario risponde da democristiano, lui a Follini, se scende a patti, temporeggia, riduce l’interim “lungo” (invece delle tasse), allora tira avanti ma il suo carisma è perduto e la “monarchia è finita” per sempre. I tre giorni di gloria fra Roma, Macherio e Bruxelles saranno stati un malinconico e un po’ guittesco canto del cigno.

Comunque sia, il tentativo del berlusconismo di rimuovere i problemi concreti con un colpo d’immagine è già fallito. Non si governa un grande paese soltanto con le televisioni. I democristiani lo sanno per esperienza, anche se non sottovalutano la materia.

Nella lunga lista rivendicativa di Follini figura in fondo, ma non ultima, la Rai, che i democristiani considerano ancora sangue del proprio sangue. Gli altri punti del diktat, tradotti dal linguaggio forlaniano adottato nella circostanza dal rude Tabacci, sono la fine breve dell’interim e della favola dei tagli fiscali (“un cambiamento della politica economica”), il ritorno al proporzionale (“introduzione del proporzionalismo”) e la sepoltura della devolution (“modifiche al federalismo”). Su quattro obiettivi, ben tre rappresentano un attacco diretto alle prerogative monarchiche del premier. Servono a togliere a Berlusconi il controllo totale su televisione, politica economica e sulla stessa coalizione. Il quarto punto, il no al federalismo, è l’arma politica per attuare gli altri.

La strategia degli allievi di Andreotti è ben congegnata. Se il premier non cede, i centristi non azzarderanno un voto contrario e tantomeno un ribaltone, col rischio di spaccare il partito senza far cadere il governo. Follini si siederà sulla riva del fiume e aspetterà di veder passare quella devolution che nessuno vuole a parte la Lega, che fa orrore a Montezemolo e ai sindacati, alla stragrande maggioranza dei deputati di An e a qualche berluscones del Sud.

Si capisce la paura di Maroni e dei leghisti. Dopo averli sfottuti per un decennio, ora i duri padani rimpiangono i vecchi, mollicci “democristiani d’una volta”, allarmati dall’improvvisa mutazione genetica della specie, annunciata dalla comparsa del “Che” Follini. Ma si sbagliano, non ricordano. Anche i democristiani d’una volta erano conigli ruggenti, capaci d’azzannare all’improvviso. Per istinti più o meno nobili. Ma tutte le volte che s’avanzava un aspirante “uomo forte” o un “guappo di cartone”. Come lo chiamava Montanelli, che per questo si turava il naso sul resto.

Che farà adesso Berlusconi? Gli piovono in testa ultimatum da tutte le parti. Follini gli dà otto giorni per mollare il Tesoro, la Lega due settimane per varare il federalismo, l’Europa tre mesi per sistemare davvero i conti, la Confindustria e i commercianti bussano alla porta delle riforme. Per uno che in tre anni ha deciso poco e nulla, promettendo tutto a tutti, è letteralmente la resa dei conti. E’ sempre riuscito a uscirne, ad alternare favori e minacce. Ai tuonanti ultimatum della Lega non ha mai creduto: è brianzolo, conosce il genere. Ad An poteva chiedere “dove andate senza di me?”. Con i democristiani è un’altra cosa. C’erano prima, ci saranno dopo. Cominciano anzi a pensare che dopo Berlusconi staranno molto meglio.

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