Società

IL RICCO CHIEDE LO SCONTO

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In tempi remoti era l’indice di gradimento divino: dall’alto dei cieli il Signore contempla, toglie e rende a Giobbe la ricchezza, a seconda dei Suoi mutevoli umori. E’ stata simbolo di vizio e virtù, guardata con sentimenti diversi, spesso di segno opposto: invidia e timore, ammirazione e disprezzo.

Oggi è più ambivalente che mai. C’è chi la tiene nascosta per discrezione, chi la ostenta con fasto. Quella del vicino che un giorno arriva a casa con un macchinone di lusso, stizzisce prima ancora di destare livore e stupefazione. La ricchezza patinata delle icone del gossip che collezionano filari di scarpe a centinaia o aprono generosamente la porta di casa ai lettori di rotocalchi, sfoderando il loro irraggiungibile kitsch, ispira un sorriso compiacente, «loro sì che se lo possono permettere».

Ma ora la banca inglese Loyds Tsb ci svela un volto insolito della ricchezza. Che dimostra di possedere quella dignità della moderazione così auspicabile in un mondo come il nostro tendente all’eccesso, alla resa del controllo. Secondo il suo studio, infatti, il 70 per cento degli intervistati ricchi (con un reddito cioè superiore ai 140 mila euro e investimenti per almeno 350 mila, tanto per fare i conti in tasca) si dichiara in possesso di una carta fedeltà dei supermercati, mentre lo fa solo il 52 per cento dei meno abbienti.

Sarah Anderson, una facoltosa imprenditrice, spiega con slancio entusiasta che non si lascia sfuggire un solo 3×2: «Non mi piace sperperare, preferisco piuttosto spendere in beneficenza», conclude.

Eccoli dunque, petrolieri e capitani d’industria, manager d’assalto e dirigenti di multinazionali in gonnella, intenti a contare bollini e confrontare prezzi, mentre i poveri riempiono i loro carrelli con indiscriminata dissennatezza.

L’indagine di mercato svela in fondo una certezza eterna, che questi tempi di post-consumismo (nel senso che si compra e si cambia con il nuovo ben prima di aver consumato il vecchio) sembrano aver rimosso: e cioè che il senso del denaro, il valore di ciò che s’è sudato o altri hanno sudato per te, s’acquista nella consuetudine e non attraverso la privazione. Perché a dispetto di quel che tante anime belle credono, i soldi non sporcano le mani. Non le puliscono nemmeno, del resto. Ma servono, e forse un poco anche insegnano, a vivere.

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