Società

IL REPLAY
DEL CAVALIERE

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Il lifting gli è riuscito, il discorso no. Al decennale della scesa in campo, Silvio Berlusconi ha presentato il suo personale concetto di rimpasto: collo spianato, zigomi slavi, profilo appuntito. Ma la faccia nuova e costosa, bella o brutta, giusta o sbagliata, è rimasta l’unica novità. E non basta. Se non avesse fatto il lifting, non avremmo saputo cosa dire di un Berlusconi che ha riproposto nel dettaglio maniacale le identiche ossessioni di dieci anni prima, dai comunisti ai magistrati, quasi la storia di un decennio italiano si potesse spianare come una ruga con un sapiente colpo di bisturi. Un Moretti di destra ieri lo avrebbe implorato: “Silvio dì qualcosa di nuovo!”.

I seimila berluscones col botto confluiti con le migliori intenzioni all’Eur sono rimasti in speranzosa attesa, per oltre due ore, che il capo trovasse il guizzo geniale d’una volta, la trovata dirompente, come una nuova scesa in campo, un rinnovato contratto con gli italiani. Niente. E allora tutti, come noi, hanno finito per concentrarsi fino all’ipnosi su quella faccia nuova, a discuterne la fattura, la riuscita, il confronto fra prima e dopo la cura. Senza volere, Berlusconi col suo discorso scontato s’è messo nella condizioni in cui ha ridotto l’altra sera Dario Fo: era come se tutti avessero spento l’audio.

Che cosa vuoi dire di uno che per la milionesima volta attacca la magistratura “politicizzata” e il defunto comunismo? L’odio per i magistrati milanesi ha superato l’iperbole e ora il pool di Milano è diventato peggio del fascismo, che non era poi così cattivo (ipse dixit), quindi Borrelli peggio di Mussolini buonanima e Berlusconi più eroico di Matteotti.

Che vogliamo aggiungere all’intrepida battaglia contro il comunismo mondiale, oggi impersonato anche nel direttore dell’Economist? C’è qualcosa di freudiano nelle frasi che usa: “Il peggior modo d’essere comunisti è senza il comunismo. È il metodo di rinnegare pilatescamente il proprio stesso passato comunista ma di mantenere i metodi di lotta politica: di ribaltare la realtà, di volere l’eliminazione degli avversari, di mantenere l’obiettivo dell’egemonia del proprio partito qualunque sia il suo nuovo nome”. Viene il dubbio che inconsciamente stia parlando dei suoi più stretti consiglieri, Adornato, Bondi, Ferrara. Basta ruotare lo sguardo intorno, alla messinscena da socialismo reale, sia pure in versione extralusso, con tanto di altare da comizio, lo sfrenato culto della personalità, le gigantografie e la sfilata agghiacciante di “giovani” che leggevano i pensierini di Adornato e mandano baci al leader.

Il punto è che il tempo passa, dieci anni son tanti, le promesse e gli slogan invecchiano e Berlusconi ripete parole chiave ormai senza alcuna magia, “il sogno”, “il miracolo”. La replica della scesa in campo è troppo perfetta, non farebbe ascolti neppure in televisione. Figurarsi nella realtà di un paese impoverito e sfiduciato. Quando Berlusconi prova a fare l’elogio del governo ed elenca come fossero imprese epiche la piccola lista della spesa di Tremonti e associati, sulla sala della celebrazione l’entusiasmo si smorza. Tanto che quando cambia argomento (“E adesso passiamo alla politica estera…”) esplode un applauso liberatorio.

Alla fine tre quarti del discorso che doveva celebrare l’era berlusconiana sono dedicati a insultare la sinistra e i governi dell’Ulivo. Non male per uno che sente la missione di “porre fine a una guerra civile strisciante” e sostituire l’amore all’odio. L’opinione pubblica sarà ormai mitridizzata contro l’ossimoro permanente e questo modo di far politica “contro”. E però se Bush avesse dedicato l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione ai democratici e agli errori di Clinton, qualcuno si farebbe serie domande sulla sua salute mentale.

Si parla tanto, anzi si spettegola, sulla salute di Berlusconi. In compenso nessuno vede la malattia politica che avanza, l’improvvisa incapacità di comunicare del Grande Comunicatore. Dal ’94 in poi ha azzeccato ogni mossa, pochi lo capivano e tutti si stupivano dei sondaggi in crescita. Oggi sbaglia quasi sempre, tutti lo elogiano e i sondaggi franano. Ma non occorre essere esperti di marketing per capire che è un errore colossale usare dal governo gli stessi argomenti efficaci quando si era opposizione. È il limite del moderno populismo ed è stata la rovina di Haider e degli eredi di Fortuyn.

L’immagine è molto nella società dello spettacolo ma non è tutto. Senza contare che l’immagine a volte comunica ben oltre le intenzioni. L’espressione stralunata del nuovo Berlusconi, di una malinconia senza tempo, a guardarla da vicino diventa il simbolo plastico di un progressivo distacco dalla realtà.

Nell’impossibile miracolo di riprodurre in laboratorio la magia del 1994, perfino con il proprio corpo, Silvio Berlusconi ieri ci ha fatto percepire come mai prima il peso di questi dieci anni di occasioni e speranze perdute.

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