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Il rebus del dollaro

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Chi ci capisce qualcosa è bravo. Siamo sinceri, il movimento di salita del dollaro cui abbiamo assistito venerdì, dopo la pubblicazione dei dati sull’occupazione, ha colto il mercato di sorpresa. Partiamo dai dati, e cerchiamo di capire quali possano essere le principali interpretazioni date dagli operatori.

I Non Farm Payrolls hanno mostrato un aumento di 36.000 buste paga rilasciate nel settore non agricolo durante il mese di gennaio, ben al di sotto delle aspettative che si aggiravano intorno a 135k/140k, mentre il dato precedente, relativo a dicembre, è stato rivisto a rialzo arrivando a 121k.

Il dato in sé ha deluso le aspettative di tutti, ma abbiamo assistito ad una ripresa del dollaro. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di aprire i grafici sugli indici di borsa, per vedere se stesse partendo un sell off di avversione al rischio, che avrebbe potuto giustificare un acquisto di green back (in quanto, fino a prova contraria, lo status di valuta rifugio è stato bene o male mantenuto dal dollaro).

Questo non è accaduto, le borse hanno continuato timidamente a rimanere in territorio positivo, allora la nostra attenzione si è spostata al tasso di disoccupazione: 9.0% contro attese di 9.5% ed un precedente 9.4%. Si tratta del livello più basso a partire dall’Aprile 2009 e del maggior declino, registrato sull’arco temporale dei due mesi consecutivi, in circa 50 anni.

Crediamo che il mercato abbia voluto premiare questa rilevazione. Prima però di ragionare su questa ripartenza e su quale sia il dato più importante da osservare oggi, per renderci conto di quale effettivamente sia la situazione del mercato del lavoro a stelle e strisce, vediamo molto brevemente perché il dollaro era sceso nelle scorse sedute.

Crediamo che i motivi, siano stati sostanzialmente un paio: i buoni dati usciti in Germania, che hanno mostrato una buona forza dell’economia tedesca, con l’attività manifatturiera che è migliorata e che potrebbe portare ad un miglioramento della produzione industriale e degli ordinativi all’industria ed i toni dovish della Federal Reserve. A riguardo di quest’ultima, cominciano a rafforzarsi le aspettative che vedono l’istituto americano come l’ultimo, in termini temporali, in grado di agire sul mercato monetario e le attese che vedono tassi fermi per altri 12 mesi aumentano.

UsdJpy – grafico giornaliero

L’idea di vedere ancora a lungo il corridoio 0%/0.25% per i Fed Funds, è rafforzata se andiamo ad analizzare il “Core PCE deflator”. Si tratta di una rilevazione che ci mostra l’incremento medio dei prezzi relativi ai consumi domestici pro capite, escludendo i fattori più volatili di cibo ed energia. Ebbene, esso è sceso a livelli bassi, facendo capire che la possibilità che si verifichino pressioni inflazionistiche è ancora lontana.

L’unica cosa che vediamo di buono in questa situazione, è il fatto che la Fed avrà a disposizione un altro report sull’occupazione prima di dover decidere se e come muoversi. Tornando ai movimenti di venerdì, abbiamo visto come ci sia stata stata una ripartenza, più o meno generalizzata di dollari, e per capire se effettivamente essa possa essere attribuita ai dati sull’occupazione, dobbiamo ragionare su un dato aggiuntivo, che può aiutare a chiarirci le idee. Come detto infatti i NFP hanno deluso, mentre il tasso di disoccupazione ha stupito in positivo.

Aggiungiamo a queste rilevazioni anche l’”Employment to population ratio”, che a differenza dell’Unemployment Rate (che tiene conto del rapporto tra il numero di disoccupati e la forza lavoro – dove con forza lavoro si definiscono tutti coloro, in età lavorativa, che sono attivamente alla ricerca di un posto), è calcolato come il numero di occupati in età lavorativa, diviso il numero totale di persone in attività lavorativa.

Esso è cresciuto dello 0.1% in ognuno degli scorsi due mesi, facendoci capire che effettivamente qualche posto di lavoro è stato creato, e ridando fiducia in quella che, anche se lontana, è la ripresa in cui tutti speriamo. Nella prima parte di questa settimana, potremo cercare di capire che direzione vuole prendere il mercato, in quanto non è prevista nessuna pubblicazione macro importante (a parte le vendite al dettaglio tedesche domani mattina), mentre a partire da mercoledì notte, Australia, Cina e Gran Bretagna, potranno portare un po’ di bollicine sui mercati.

Passiamo ora ad analizzare la situazione dal punto di vista tecnico, cominciando con l’immancabile eurodollaro.

La volatilità venutasi a creare venerdì, a ridosso dei dati, ha portato ad un’interessante conferma, osservando un grafico con un timeframe inferiore al giornaliero. Il rapido calo ha fatto si che fosse confermato il livello più importante di supporto a 1.3540 (allargato per la verità sino a 1.3570 grazie ad una serie di minimi ed al transito della media di lungo periodo). Questa è quindi l’area al superamento della quale potrebbe avvenire una vera e più profonda svolta ribassista del cambio: sino a che questo non avvenga potremmo ritrovarci in una fase di range, con una potenziale area di resistenza a 1.3675 e successivamente la più famosa 1.3750.

Il movimento favorevole al dollaro ha permesso al cambio UsdJpy di allontanarsi dalla parte bassa del range vista venerdì vicino a 81 figura. Nonostante i prezzi siano arrivati, con questo spunto rialzista, anche al di sopra di 81.90, non possiamo considerare il cambio al sicuro (come sosteniamo da lungo tempo) almeno sino a che non vi sarà una rottura della trendline lentamente ribassista in atto da metà dicembre e soprattutto non assisteremo ad un ritorno giornaliero al di sopra di 83.30.

Lo spunto più interessante che possiamo avere da quanto accaduto, giunge da un grafico giornaliero: venerdì il test di 81.20 ha di fatto completato una configurazione a triangolo, come sappiamo è una figura di continuazione, con il completamento del secondo lato (quello inferiore). Se sarà confermata la rottura di 81.20, potremmo assistere ad un nuovo minimo del dollaro, con un potenziale di raggiungimento anche sino a 77.50. Ovviamente se prima avvenisse il ritorno dei prezzi al di sopra dell’area di resistenza vista prima, soprattutto di 82.90, questa configurazione potrebbe essere accantonata.

Seppur sia stato oltrepassato di qualche punto, 111 sembra essere ancora da considerare il punto di svolta del cambio EurJpy, al pari dell’area di minimo vista dalla moneta unica nei confronti del dollaro. Il movimento di risalita che ne è seguito ha riportato all’attualità, velocemente, il più importante livello statico di resistenza, 112.70.

La sterlina si è trovata in una situazione migliore dell’euro andando a subire un calo, settimana scorsa, che non ha allontanato più di tanto i prezzi dal massimo raggiunto. In questo momento il cambio si trova quasi equidistante dai due livelli più importanti identificabili: l’area di supporto a 1.6050 e la resistenza di 1.6260.

Parlavamo venerdì dell’ultimo “baluardo” di tenuta per il rapido calo dell’euro nei confronti della sterlina ed effettivamente abbiamo potuto notare come il mercato abbia rispettato 0.8430. Data comunque la vicinanza ai prezzi attuali e l’ennesimo tentativo di rottura a ribasso non siamo certi quanto ancora possa tenere. Ricordiamo solamente che una definitiva rottura potrebbe, con buona probabilità, ricondurre i prezzi ad un ritorno all’area di minimo di 0.8340 e 0.83 figura.

Terminiamo con il franco svizzero che nei confronti dell’euro si trova in una zona a rischio. Il calo minore subito dal cambio ha fatto si che rimanesse vicina l’area di resistenza del cambio posta a 1.30-1.3060, dalla quale dipendono le speranze di chi è posizionato a favore dell’euro.

L’indebolimento subito nei confronti del dollaro è risultato essere ancora maggiore, con il definitivo allontanamento dall’area di resistenza di 0.9480. Il punto della vera svolta rialzista del cambio si trova a 0.96 figura, dove transita la trendline ribassista iniziata alla fine di novembre scorso.

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