Sebbene la nota lobby di tira-giacchette continui a sostenere che il presidente della Repubblica è stato gravemente minacciato dal Foglio in relazione alla legge Gasparri, circostanza parecchio ridicola visto che abbiamo detto e ripetiamo di rispettarne le decisioni e ci siamo limitati ad analizzare il suo orizzonte politico, ci permettiamo di insistere nel fare il nostro mestiere.
Carlo Azeglio Ciampi ha evidentemente deciso il rinvio della legge sulle tv alle Camere per i motivi espliciti che sono scritti nel suo “messaggio motivato” a norma di Costituzione, articolo 74. Ma è il primo a sapere che le decisioni a fil di norma hanno sempre un risvolto politico.
Il risvolto politico della sua bocciatura della Gasparri sta tutto nei festeggiamenti girotondini della presa della Bastiglia, nelle estremizzazioni di una parte dell’opposizione parlamentare e nel fregarsi le mani degli interessi che si sentivano lesi da quella legge (soprattutto il partito degli editori). Ciampi sa che non deve lasciarsi imporre una posizione politica squilibrata, dopo avere esercitato i suoi poteri secondo diritto.
Sa che in Italia c’è una sinistra, più istituzionale e riformista, quella che vorrebbe preparare un’alternativa di governo, il cui gruppo dirigente è felice di avere un premier indebolito dalla sua decisione, ma al tempo stesso è inquieto di fronte alla prospettiva di una battaglia sulla libertà d’antenna: ne ha già persa una, via referendum.
Il Quirinale ha assunto, nel momento stesso in cui ha forzato per il rinvio, un atteggiamento di cooperazione politica verso la maggioranza del Parlamento, che quella legge aveva approvato. Il presidente vuole palesemente evitare la conseguenza spiacevole che faceva parte del rischio, un suo sequestro da parte dell’opposizione come nuovo alter ego, dopo Oscar Luigi Scalfaro, di un premier eletto e della sua coalizione, parecchio più robusta che nel ’94.
Non ha cercato sponde politiche nella maggioranza, ha preferito sul tema un rigoroso isolamento. E sta prodigandosi affinché sia evitato il danno industriale a Retequattro e alla Rai nella forma giuridica compatibile con il suo messaggio e con la sentenza della Corte Costituzionale che ne è il fondamentale appiglio.
La riforma di sistema può attendere: può ripartire con calma, riformularsi con più cura per la composizione degli interessi, che in Italia si chiama pluralismo. Ma sul danno industriale da evitare il Quirinale dà quei segnali che fanno capire quanto di malavoglia si sia acconciato al rischioso rinvio, e quanto di buonavoglia sia impegnato a evitarne le conseguenze politiche squilibranti. Almeno per il presidente che ha dedicato i suoi giorni non già al ribaltone, ma al compimento dell’alternanza.
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