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(WSI) –
Nella manovra di finanza pubblica presentata dal governo, sul lato delle entrate campeggia l’avocazione all’Inps di una parte del Tfr, acronimo che sta per Trattamento di fine rapporto, cioè una porzione dello stipendio annuo dei lavoratori che le imprese accantonano e versano loro come salario differito al momento della fine del rapporto di lavoro. La quota che andrà all’Inps è pari al 50 per cento di quanto i lavoratori non destineranno ai fondi di previdenza integrativa nel 2007.
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L’aspetto sconcertante di questa operazione è che essendo appunto il Tfr salario differito, non si tratta di una vera entrata, ma solo di un prestito: il Tfr è un debito delle imprese verso i lavoratori. La sua avocazione all’Inps comporta un trasferimento forzoso del debito a un soggetto pubblico.
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Adesso Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa dovranno convincere l’Unione europea che questi cinque miliardi di euro sono una vera copertura di spese che riduce il deficit e il debito pubblico e non un maggiore indebitamento, cioè un trucco contabile, di quelli cui Bruxelles dà la caccia.
La Confindustria considera questa operazione una specie di rapina, perché costringerà le aziende che si finanziano con il Tfr a un costo di mercato limitato a dover recuperare quel denaro a un costo maggiore. In effetti, la soluzione ha tutta l’aria di un esproprio senza indennizzo dell’intero cespite finanziario, dunque di un atto contrario all’articolo 42 della Costituzione.
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