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(WSI) –
Altro che “amico” di Putin. Paolo Scaroni, con l’acquisto delle attività della Dominion nel Golfo del Messico, ha lanciato nella complicata partita del petrolio – che si gioca sui tavoli della geopolitica prima ancora che su quelli dell’economia – un segnale forte verso chi giudicava l’Eni troppo sbilanciata in favore dei nemici di Bush.
In primo luogo, verso chi vedeva, con la partecipazione alle aste russe per le spoglie della Yukos, che il legame con Gazprom e di conseguenza con Putin si stava rinsaldando troppo, soprattutto nel momento in cui il presidente russo ha cominciato ad entrare in rotta di collisione con la Nato e gli Stati Uniti.
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Con questa mossa, infatti, Scaroni volta definitivamente le spalle al Venezuela di Chavez – con cui ha comunque in corso un arbitrato internazionale dal valore di 1,5 miliardi di dollari – e fa sì che anche i messicani guardino oggi più a nord che a sud nella ricerca di alleanze internazionali. Una presa di distanza, quella nei confronti di Chavez, che suona anche come vendetta (preventiva) verso chi vuole nazionalizzare la venezuelana Sidor della Techint, gruppo nel quale Scaroni ha lungamente militato.
Inoltre, l’operazione messicana appare una risposta a chi sosteneva che l’Eni fosse troppo “africana” – con tutto quel che ne consegue in termini di rischi per la sicurezza – rispetto alle altre compagnie: con questa virata a ovest, gli investitori che guardano anche alla posizione geografica degli asset, potranno essere soddisfatti. Insomma, l’accordo che Scaroni “l’americano” ha fatto con Dominion vale molto più dei 3,5 miliardi di euro che è costato.
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