Il petrolio è ancora in volata. E rischia di raggiungere già la prossima settimana quota 50 dollari al barile, sfondando non solo la quota psicologica ma anche il nuovo record storico. I future sul greggio non si sono infatti mai spinti oltre la soglia dei 49,40 dollari al barile, toccati il 20 agosto scorso, dal loro debutto sul mercato negli anni ’80.
Sul possibile nuovo rally dell’ oro nero, anche oggi in rialzo e vicino a quota 49 dollari al barile, scommettono la maggioranza degli analisti, preoccupati per una forte spinta delle domanda attesa per la prossima settimana quando, con ogni probabilità, gli operatori Usa si rivolgeranno al mercato per ricostituire le proprie scorte.
Riserve che, anche a causa dei recenti uragani che hanno fermato gran parte della produzione del Golfo del Messico, viaggiano ai minimi degli ultimi 29 anni. E che, ora, devono essere rimpiazzate per sostenere l’ attività delle raffinerie, anche in vista della stagione fredda.
I contratti futures sul wti, il greggio di riferimento americano, dopo un’ apertura in lieve calo (-0,4%) a 48,25 dollari al barile hanno così rinnestato la marcia e si sono portati nuovamente a sfiorare i 49 dollari (48,95 in chiusura). Anche a Londra il brent, il petrolio europeo, rimane su livelli elevati con lo stesso tipo di futures sopra 45 dollari al barile.
Indicazioni al rialzo arrivano anche dall’ Opec che oggi ha reso noto un aumento della quotazione del prezzo di riferimento del proprio paniere (comprendente i sette greggi prodotti dai Paesi del Cartello) a 42,27 dollari a barile contro i precedenti 41,75 dollari. I contratti futures con consegna a novembre che registrano in questi giorni un incremento del 70% rispetto ad un anno fa, hanno guadagnato solo nel giro dell’ ultima settimana il 5,6%.
Sulle quotazioni petrolifere continua a scaricarsi una sorta di congiura di elementi diversi tra loro. Ma che contribuiscono ad acuire il già alto clima di tensione legato all’ instabilità dell’ area mediorientale. Sullo sfondo delle preoccupazioni per l’ evoluzione della vicenda irachena ed i timori di attentati che possano compromettere le esportazioni dall’ area, si sono inseriti infatti una serie di elementi contingenti che hanno contribuito a fomentare il nervosismo. E, di conseguenza, gli spunti speculativi.
In un mercato preoccupato per un’ offerta non più in grado di sostenere l’ attesa domanda mondiale in continua crescita – soprattutto per l’ accelerazione dei consumi dei Paesi emergenti, come la Cina – si sono infatti scaricate nelle ultime settimane le preoccupazioni sul destino del colosso russo Yukos che rischia di interrompere la propria attività per le conseguenze della vertenza fiscale con il governo di Mosca. E, ancora, gli uragani che si sono abbattuti nei Caraibi ed in America Centrale che hanno messo ko le produzioni del Golfo del Messico. Con il risultato che le scorte Usa sono ai minimi.
E la scorsa settimana sono calate di 9,1 milioni di barili contro una contrazione, già ritenuta sostanziosa, attesa dagli analisti di 7 milioni di barili. Ma sul fronte degli elementi di preoccupazione c’é anche qualche dato più strutturale: l’ impossibilità dell’ Opec di pompare di più (la capacità produttiva è ormai prossima alla saturazione) e il dato sulle riserve americane che l’ anno scorso si sono ridotte del 3% mostrando che le nuove esplorazioni e produzioni non sono state in grado di coprire quelle andate fuori uso.