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IL PAPA NOMINA IL SUO BANCHIERE

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Ettore Gotti Tedeschi è stato nominato nuovo presidente dello Ior (Istituto per le Opere di Religione), la banca del Vaticano con un patrimonio accreditato, secondo alcune fonti, di 5 miliardi di euro. La nomina e’ avallata al massimo livello della Santa Sede, cioe’ dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e soprattutto dal Papa, Benedetto XVI.

Gotti Tedeschi, 54 anni, ex McKinsey, e’ il rappresentante in Italia del Banco Santander Central Hispano (di proprieta’ della cattolicissima famiglia spagnola Botin), ex fondatore della milanese Akros, banca di investimenti nata per fare concorrenza alla “laica” Mediobanca. Co-fondatore di Akros fu anche Gian Mario Roveraro, assassinato due anni fa in un delitto rimasto misterioso, pare legato a un ricatto finanziario. Gotti Tedeschi e’ in grande sintonia con il governo Berlusconi, soprattutto grazie al ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

E’ editorialista del quotidiano della Santa Sede l'”Osservatore Romano”, insegna etica della finanza all’Università Cattolica di Milano. Dal 2004 al 2007 e’ stato consigliere di amministrazione indipendente, nominato dal ministro dell’Economia, della Cassa Depositi e Prestiti, di cui e’ di nuovo nel Cda dal 2009. Insieme a Rino Camilleri nel 2004 ha scritto il libro “Denaro e Paradiso: L’economia globale e il mondo cattolico”.

Il nuovo presidente dell’Istituto per le Opere di Religione e’ membro dell’Opus Dei, la “prelatura personale” voluta da Papa Giovanni Paolo II che si rifa’ alle posizioni piu’ conservatrici e retrive della Chiesa Cattolica. L’Opus Dei fu fondato nel 1928 da Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975), sacerdote spagnolo canonizzato da Papa Giovanni Paolo II nel 2002. Il riassetto all’interno della gerarchia della Chiesa Cattolica seguito all’elezione di Papa Ratzinger e all’uscita del cardinal Sodano quindi continua, da quando il segretario di Stato scelto da Benedetto XVI e’ Bertone.

Per inciso anche Emilio Botin, 70 anni, lo spagnolo fondatore del Banco Santander si rumoreggia faccia parte dell’Opus Dei. E il cerchio si chiude. Il Banco Santander Central Hispano e’ un colosso da $18.7 miliardi con 10.000 filiali (si vanta di avere piu’ filiali di ogni altra banca nel mondo) con presenza soprattutto in Spagna, Portogallo e America Latina, cioe’ territori dove vivono decine di milioni di cattolici.

Nei giorni scorsi si erano infittite le voci sul cambio alla presidenza dello Ior, guidato fino a oggi (per vent’anni) dal professor Angelo Caloia. Si parlava con insistenza di una riunione del Consiglio direttivo della banca vaticana, presieduto dal cardinale Tarcisio Bertone nella sede “mono-sportello” al Torrione di Niccolò V, ma ufficialmente non era arrivata alcuna conferma dalla Santa Sede.

Leggere:
RUMOR: RIBALTONE ALLA BANCA DEL VATICANO (IOR)?

Se e’ l’uomo giusto per competenza finanziaria e integrita’, Gotti Tedeschi avra’ un’agenda fitta per completare l’opera di trasparenza iniziata allo Ior da Caloia. Il super-segreto Istituto per le Opere di Religione è stato di nuovo sotto i riflettori, negli ultimi mesi, dopo la pubblicazione del volume ‘Vaticano s.p.A’, in cui l’autore, il giornalista Gianluigi Nuzzi, denuncia gli affari molto loschi delle finanze vaticane, soprattutto nel periodo gestito dal ‘banchiere di Dio’ monsignor Paul Marcinkus e dal suo numero due, Donato De Bonis (ai tempi di Sindona e Calvi) ma in parte anche quello dell’ultima fase di presidenza Caloia. Proprio per questo è partita l”operazione trasparenza’ che ha portato al rinnovo del vertice della «banca» del Vaticano con la nomina di oggi.

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Ripubblichiamo per gentile concessione de L’Espresso l’articolo, uscito la scorsa settimana:

IN BANCA IL PAPA HA UN SEGRETO

di Francesco Bonazzi

Chi negli ultimi tempi ha avuto l’onore di frequentare lo spettacolare appartamento che il cardinale Angelo Sodano si è ricavato al piano nobile del Collegio Etiopico, dentro le mura vaticane, giura che ormai ci siamo: la nomina del sostituto di Angelo Caloia alla guida dello Ior è questione di giorni.

Per la guida della riservatissima banca vaticana, accreditata di un patrimonio non inferiore ai 5 miliardi di euro, è ormai un derby a due tra Antonio Fazio ed Ettore Gotti Tedeschi (anche se ovviamente non si può escludere una qualche sorpresa tedesca dell’ultima ora, se papa Ratzinger tirasse fuori un terzo nome).

L’ex governatore di Bankitalia, inseguito dalla giustizia italiana per la famosa estate delle scalate bancarie e dei suoi rapporti con Giampiero Fiorani, appare in svantaggio su Gotti Tedeschi, da sempre uomo del Santander in Italia, commentatore economico dell'”Osservatore Romano” e formidabile tessitore di rapporti con Giulio Tremonti.

Ma Fazio può ancora contare sulla solida amicizia di Sodano che, pur avendo ceduto la carica di segretario di Stato a Tarcisio Bertone, si muove a tutto campo anche grazie ai continui viaggi e ai mille impegni del successore. Così, il pellegrinaggio a casa Sodano è lo stesso dei bei tempi passati, forse perfino più rilassato e selezionato. E l’ex segretario di Stato, poi, trova sempre il modo di riversare i suoi consigli terreni a Benedetto XVI, senza mancare di rispetto a Bertone.

E se si parla di organigrammi la casella di presidente dello Ior è una di quelle con la “e” maiuscola. Fazio, pare abilmente consigliato dal duo Sodano-Giulio Andreotti (che allo Ior avrebbe perfino un conto cifrato, come sostiene Gianluigi Nuzzi nel bestseller “Vaticano Spa”), la settimana scorsa ha fatto una gran mossa: si è fatto da parte, spiegando alle alte sfere vaticane che il non aver concluso la sua via Crucis giudiziaria lo turba troppo.

Il timore del banchiere di Alvito è che «schizzi di fango» possano recare oggettivo danno a Santa Madre Chiesa. E lui, che ne è figlio devotissimo, mai vorrebbe far correre un simile rischio da presidente dello Ior. Un giocare d’anticipo, e di sacrificio, che al torrione Niccolò V, sede della “mono-sportello” banca vaticana, molti interpretano come un formidabile passo indietro. Per farne due in avanti.

Di fronte a una simile “autoesclusione” non c’è cascato neppure il sessantatreenne (dieci in meno di Fazio) Gotti Tedeschi, che continua il suo operosissimo tran tran quotidiano fra la sua Piacenza e Milano. Sveglia alle cinque, arrivo a Milano con la sua Bmw entro le 7 per la lettura dei quotidiani, messa in San Babila alle 8 «per non perdere mai la bussola».

Dello Ior non parla con nessuno, forse neppure con la propria ombra, ammesso che ancora la proietti. Gotti Tedeschi, «molto vicino all’Opus Dei», come si dice con curiale prudenza, ha una dimensione pubblica e una privata. Quella pubblica è affidata in gran parte all’insegnamento economico in Cattolica e agli editoriali che da un anno scrive sull'”Osservatore Romano”, fenomenale vetrina mondiale per quei prelati che ancora non lo conoscessero. (Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita’ e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 79 centesimi al giorno, provalo).

Editoriali dai quali si capisce quanto la dottrina sociale di Ratzinger e il suo approccio al mercato siano influenzati dalle teorie mercatiste del banchiere piacentino (“Anche il mercato è un dono di Dio”, ama ripetere). La dimensione privata è quella di un uomo che ha cinque figli e che nel pochissimo tempo libero sta con la famiglia e al massimo invita qualche selezionato amico nella sua casa con “hortus conclusus” (molto simile a un convento, giura chi la frequenta).

Quella che sta nel mezzo è la dimensione di banchiere e uomo d’affari, utilissima per capire perché Gotti Tedeschi sia in pole position per lo Ior. Se si guarda il suo curriculum, si rimane colpiti dagli esordi nella consulenza al fianco di due cristiani passati a miglior vita: il professore milanese Pietro Gennaro, uno dei padri della consulenza italiana, e il “Cuccia bianco” Gian Mario Roveraro, ucciso da una banda di rapitori due anni fa.

Con Roveraro ha fondato la Akros, che negli anni Ottanta si è proposta come contraltare (nel vero senso della parola) a Mediobanca ed è stato tra i registi della quotazione della Parmalat dell’amico Calisto Tanzi. Nel ’92, poi, l’improvvisa rottura con Roveraro, con il quale aveva vissuto anche stagioni pericolose come la corsa al patrimonio della Federconsorzi e l’assistenza alla Fisvi del mitico Saverio Lamiranda, uno dei protagonisti più discussi della privatizzazione Sme.

C’è chi dice che la rottura con Roveraro, mai spiegata dai protagonisti, sia avvenuta proprio su Parmalat. Certo è che, dopo l’unico divorzio della sua vita, Gotti Tedeschi ha saputo ritagliarsi una seconda e lunga stagione come plenipotenziario italiano della famiglia Botin, ovvero i fondatori e proprietari del cattolicissimo Banco di Santander (anch’essi molto vicini all’Opus).

Per anni ne ha gestito pure la rilevante quota nel Sanpaolo di Torino, dove ancora siede forse l’unica persona che Gotti abbia mai stentato a perdonare: il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, il geometra Enrico Salza. La storia va raccontata perché dice molto del probabile futuro capo dello Ior.

Pare che per tutto l’autunno del 2006 Salza abbia giurato e spergiurato al pio Gotti che non avrebbe venduto la banca ai milanesi di Corrado Passera, un progetto che inorridiva i cattolicissimi soci del Santander. È andata come è andata e vista la faticosa uscita degli spagnoli da “Sant’Intesa” avrebbe potuto anche segnare la fine della carriera del loro plenipotenziario italiano, per giunta cattolicissimo come il conquistatore Giovanni Bazoli.

E invece Gotti Tedeschi trascinò Salza di fronte a Emilio Botin e gli fece ripetere la formale assicurazione. Un passo che gli ha probabilmente allungato – e di molto – la carriera. Non solo, ai pochi amici con i quali ha confidato quella grande amarezza, Gotti Tedeschi ha l’abilità di fornire una versione dell’odiata fusione che salva Bazoli e indica nel solo Passera il regista, con un Salza che all’ultimo momento non avrebbe potuto non onorare «una qualche cambiale con gli amici».

Che, nella testa di Gotti, sarebbero ovviamente quanto di più lontano dall’Opus. Non aver guastato i rapporti con Bazoli, anche in chiave di una gestione futura del complesso portafoglio Ior, è sicuramente cosa buona e utile. Per il resto, colpisce lo straordinario rapporto che un uomo dal carattere non facile come Tremonti ha voluto e saputo cementare con Gotti Tedeschi nell’ultimo anno.

Dopo averlo nominato suo personale consulente «per gli affari economici, finanziari ed etici», il ministro dell’Economia lo ha appena scelto al posto di Salvatore Rebecchini alla presidenza di F21, il fondo per le infrastrutture guidato da Vito Gamberale. Una scelta di campo ben chiara, per un antifazista convinto e di provata fede come Tremonti.

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Francesco Manacorda – “La Stampa”

Fuori dalla tempesta dei mercati e fuori anche dalle ultime incrostazioni di una storia, quella degli ultimi decenni, ricca pure di aspetti tutt’altro che commendevoli. E’ la doppia missione, e non delle più semplici, per il tenace banchiere piacentino con solidi agganci Oltretevere ma anche oltrefrontiera che s’insedia adesso in quel torrione di Niccolò V che – potenza dei simboli topografici – confina anche fisicamente con il Palazzo Apostolico.

La priorità, in tempi difficili per ogni banca, è ovviamente quella di far sì che IOPRVAVX – è questo il codice che nel circuito interbancario identifica l’Istituto per le Opere di Religione – e i suoi 40 mila correntisti e passa fra cui tutti i dipendenti del Vaticano – possano dormire sonni tranquilli.

Non dovrà sforzarsi troppo Gotti Tedeschi, però, se come ha assicurato il presidente uscente Angelo Caloia, gli investimenti sono improntati alla massima prudenza. «Noi non siamo una banca – ha spiegato proprio un anno fa a Famiglia Cristiana -. Non abbiamo concesso né concediamo prestiti. In tal modo, non ci sono da noi perdite inesigibili… Siamo sempre stati molto prudenti nel gestire le nostre finanze, oserei dire conservatori».

Molto di più non è dato sapere visto che lo Ior non pubblica bilancio nè rende noti i suoi principali dati finanziari. Semplicemente, come da statuto vergato da Pio XII nel 1944 e poi rivisto da Giovanni Paolo II nel 1990, quello che era nato nel 1887 su iniziativa di papa Leone XIII come «Commissione ad pias causas» destinata a raccogliere e gestire l’Obolo di San Pietro, l’Istituto, ha lo scopo «di provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti od affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di carità».

Un mandato che già in precedenza, subito dopo la firma dei Patti Lateranensi e quando lo Ior era ancora l’Amministrazione speciale per le Opere di Religione, Bernardino Nogara – proveniente da una banca laica e milanese come la Comit – aveva interpretato in modo estensivo, ponendo come condizioni per accettare il suo incarico, completa libertà d’azione.

Che nei decenni successivi al pur intraprendente Nogara nelle carte – e soprattutto nelle casse – vaticane, siano stati custoditi segreti inconfessabili, non solo italiani, è storia notissima.

Scandalo principe è ovviamente quello del Banco Ambrosiano. Qui l’arcivescovo lituano-americano Paul Marcinkus – originario di Cicero, paese natale di Al Capone, è l’inevitabile chiosa che accompagna le sue biografie – assurto alla presidenza dell’Istituto nel 1971, gestì un inarrestabile giro di denaro di provenienza oscura drenato per circa 2 miliardi di dollari dalle casse dell’Ambrosiano, controllato fin dal 1946 proprio dallo Ior, e contribuì così in modo sostanziale al crack dello stesso Ambrosiano nel 1982.

Liquidazione del banco, sostanziale protezione di Marcinkus sotto lo scudo dell’extraterritorialità, ammissione non di colpa da parte dello Ior, ma certo di una responsabilità oggettiva visto che due anni dopo l’istituto versava alle banche creditrici dell’Ambrosiano una somma di poco superiore ai 400 milioni di dollari come «contributo volontario».

Al risanamento dell’Istituto, nel 1989, era stato intanto chiamato un altro banchiere milanese come Angelo Caloia. Ma anche in questi anni l’ombra di altri movimenti sospetti, da una parte della maxitangente Enimont – accertò la magistratura milanese – a operazioni che coinvolgevano la Banca della Svizzera italiana gestita da Giampiero Fiorani. Ora, dopo un ventennio, oneri e onori passano a Gotti Tedeschi.