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IL NERVOSISMO DEI MERCATI, LA CALMA DI BERNANKE

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(WSI) –
Il 2007 promette di essere un anno importante per capire quali siano le regole ottimali della politica monetaria, nel contesto del grande sviluppo dei mercati finanziari che sta caratterizzando l’economia globale. Le recenti sofferenze delle Borse, a cominciare da quelle americane, dimostrano che i rialzi dei tassi fin qui attuati rischiano di provocare una recessione? È dunque imminente una riduzione del costo del denaro, partendo da quello praticato dalla Fed, come sembrano scontare ora i mercati?

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Per rispondere a queste due domande, molto dibattute negli ultimi mesi, è opportuno considerare anzitutto i risultati delle ricerche pubblicate negli anni ’90 dall’allora professore a Princeton, oggi chairman della Fed, Benjamin S. Bernanke. In quei lavori scientifici che gli hanno dato meritata fama Bernanke affrontava soprattutto due temi: quello della fragilità finanziaria e in connessione ad essa la possibilità che avvengano crisi economiche (anche gravi, come quella del ’29); e quello dell’utilità o meno che la politica monetaria risponda a variazioni dei prezzi delle attività patrimoniali (azioni, immobili). Non si ricorda altro caso di banchiere centrale che si trovi a fare politica monetaria in condizioni così simili a quelle da lui stesso a lungo studiate.

Ciò che importa sottolineareè che, finora, le difficoltà che sono emerse negli Stati Uniti durante l’ultimo anno non hanno smentito
le previsioni del Bernanke accademico. La fragilità del sistema finanziario è confermata ed è soprattutto dovuta alla mancata percezione della rischiosità dei nuovi strumenti finanziari. Come dimostra la vicenda dei prestiti immobiliari a clienti poco affidabili (subprime): l’innovazione finanziaria è rivolta alla riduzione e/o gestione del rischio, ma quando esagera poi il rischio si vendica. Le conseguenze non sono gravi (a parte gli effetti redistributivi tra chi i soldi prima li ha fatti e chi oggi ce li rimette), se non viene contagiata la struttura bancaria. Sono le banche che quando falliscono provocano guai grossi.

Ma fin qui le gravi perdite relative ai mutui immobiliari non hanno messo in forse la solidità delle banche a stelle e strisce. Non hanno fatto deragliare l’economia e non hanno neppure intaccato l’ottimismo del consumatore americano.
Il quale sembra comportarsi proprio come l’agente razionale dei corsi universitari, che compensa nel tempo guadagni e perdite di capitale più o meno casuali, e continua ad aumentare i suoi consumi in linea con il tasso di crescita di lungo periodo della produttività.

Troppo bello per esser vero?

Il secondo contributo analitico del Bernanke studioso riguarda le variabili che influenzano l’azione della Banca centrale: devono essere solo l’inflazione attesa (da mantenere vicina al 2% annuo) e la piena occupazione (misurata da una disoccupazione vicina al 4,5%)? Oppure la politica monetaria dovrebbe anche reagire alle variazioni dei prezzi delle azioni, evitando che si formino “bolle” da eccessivo ottimismo e successive crisi anche gravi quando poi le bolle scoppiano?

Bernanke in vari lavori scientifici dimostrò che bene fa la Banca centrale a ignorare la Borsa, sia quando sale sia quando scende. O meglio, dovrebbe tener conto dei prezzi delle azioni solo se danno informazioni utili a misurare le aspettative inflazionistiche. Se i movimenti della Borsa fossero interpretabili come corretta anticipazione di ciò che succederà ai prezzi dei beni e all’economia in generale, allora il banchiere centrale farebbe bene a tenerne conto. Mentre Alan Greenspan, uomo che veniva dal mercato mobiliare, ha variato i tassi, soprattutto all’ingiù, per rispondere agli andamenti dei listini azionari, soprattutto delle brusche cadute.

Da queste brevi note emergono due aspetti di attualità che merita sottolineare. Primo, le regole di politica monetaria adottate dal governatore Bernanke sono molto più ortodosse di quelle del suo famoso predecessore, Alan Greenspan, che non a caso era più gradito ai mercati finanziari, ai quali riservava continui complimenti e attenzioni. Bernanke è invece un accademico cresciuto alla scuola del premio Nobel Joseph Stiglitz: i mercati finanziari sono macchine umane che possono anche sbagliare, spesso lo fanno, e il banchiere centrale nulla dovrebbe fare per ridurre le loro perdite quando le hanno meritate.

Secondo, una correzione delle Borse anche più pronunciata di quella fin qui vista non farà ridurre i tassi della Fed fintantoché lo scenario prevedibile rimarrà quello finora osservato: l’economia americana è in buone condizioni, resta in piena occupazione e l’inflazione è un po’ più alta di quella desiderata. Non è Bernanke a essere un accademico rigido, è l’economia americana che è molto flessibile.

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