*Alessandro Fugnoli e’ strategist di Abaxbank. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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(WSI) – Acquistate 500 Enel quarta tranche (3500 euro, più o meno) e avete diritto a un prospetto di un chilo con analisi sofisticate ed elenco dettagliato di ogni rischio immaginabile. Acquistate una casa da mezzo milione di euro indebitandovi fino alla terza generazione a tasso variabile e né il costruttore né la banca vi daranno analisi sull’andamento storico del mercato immobiliare o su quello dei tassi d’interesse. Eppure basterebbero, per riflettere molto a lungo e spaventarsi, le tre pagine che l’Economist di questa settimana dedica alla bolla immobiliare.
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Dal 1997 a oggi (guarda caso dallo scoppio della crisi deflazionistica asiatica) il valore delle case nel mondo è passato da 40 a 70 trilioni. I 30 trilioni di bolla sono pari grosso modo al Pil mondiale. La bolla immobiliare, conclude l’Economist, è dunque più grande di quella azionaria 1996-2000 (80 per cento del Pil) e di quella degli anni Venti (55 per cento del Pil). In pratica è la più grande bolla di tutti i tempi.
A quanti, come l’Economist o Robert Shiller di Yale, mettono in guardia sui rischi che la bolla, come ogni bolla, se ne scoppi, rispondono soavi i revisionisti del Nuovo Pradigma. Tra di loro Bill Gross, da poco convertito, sostiene che la Fed inizierà ad abbassare i tassi non appena vedrà segni di debolezza nel mercato immobiliare, probabilmente già entro quest’anno. In questo modo il bear market delle case verrà bloccato sul nascere.
Teorie simili, tutte riconducibili al Nuovo Paradigma della seconda Bretton Woods (anche se spesso non ne sono consapevoli), circolano anche nel mercato dei bond e in quello azionario.
Che siamo arrivati fin qui, si dice tra i bond, senza il classico rialzo dei rendimenti della parte lunga (pur con otto rialzi del policy rate) è effettivamente un’anomalia. Non era mai successo che la parte lunga la facesse franca. Ma ormai chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Adesso, dicono, il 4 per cento sul decennale (o il 3.15 sul Bund) non ce lo può togliere più nessuno. La Fed è infatti agli sgoccioli con i rialzi dei Fed Funds. Naturalmente, quando avrà finito, i bond, come hanno sempre fatto, avranno diritto (in base alla salvaguardia dei diritti acquisiti) a un nuovo rally, a maggior ragione se la Fed, addirittura, abbasserà i tassi fra non molto.
Con tutto il rispetto per le case e i bond, si dice nell’equity, noi abbiamo ancora più diritto a salire ulteriormente, e di molto. Le nostre valutazioni sono ragionevoli. Dall’inizio del 1997 le case americane sono salite del 73 per cento, l’SP 500 solo del 62 per cento. Non appena la Fed si ferma, un rialzo del 10 per cento è il minimo a cui abbiamo diritto, ma possiamo fare ben di più. Per gli asset finanziari e reali abbiamo dunque scoperto la formula del rialzo perpetuo.
Quando l’economia è in ripresa ciclica le case e le azioni, giustamente e sacrosantamente, salgono mentre i bond fanno finta di niente, lasciando il lavoro sporco ai tassi a breve. Quando poi il ciclo inizia a rallentare, i tassi a breve vengono fatti opportunamente scendere, dando modo a case, azioni e, questa volta, anche bond di salire di nuovo. Poi il ciclo riparte e azioni e case salgono di nuovo, e così via. E’ l’eterna primavera, il paese di Cuccagna, l’Eldorado.
Nella gioia e nella confusione ce n’è anche per le materie prime (e in particolare il petrolio) che hanno appena iniziato, tre anni fa, un bull market secolare che, male che vada, subirà ogni tanto una battuta d’arresto di qualche mese per poi riprendere con nuovo vigore.
Sembra un quadro di Hieronymus Bosch popolato da figure grottesche, esuberanti e un po’ diaboliche. C’è l’Opec sempre più grassa (140 miliardi dal cielo per lei e per la Russia ogni 10 dollari di rialzo del greggio) che balla con i suoi clienti, per i quali i 140 miliardi sono briciole in confronto ai 45 trilioni di plusvalenze (30 sulle case e 15 sull’equity) di questi ultimi sette anni. C’è l’America dissipatrice che vive allegramente di debiti che danza felice con la Cina che la finanzia e diventa sempre più grande e potente. Tutti più ricchi, compresa l’Africa e compresa perfino l’Europa. Chi ha mai detto che l’economia è la scienza triste?
Gli ortodossi come l’Economist, rimasti fedeli alla scienza triste, guardano allo spettacolo con occhio severo. I revisionisti, intanto, fanno i soldi. Noi rimaniamo dell’idea di non fare scelte forti tra le due posizioni. Si può discettare e schierarsi con passione sul piano teorico, ma bisogna essere flessibili in corpore vili, cioè sui portafogli.
I revisionisti vanno considerati con rispetto. La Bank of England, muovendosi per tempo e senza strafare, ha arrestato da qualche mese il rialzo immobiliare. Con mano delicata e precisa è riuscita ad evitare un’inversione di tendenza, particolarmente pericolosa in un paese dove solo russi e arabi comperano le case pagandole subito, mentre tutti gli altri vanno a leva, con il mutuo, rischiando il default se la casa perde valore.
E’ molto probabile che la Fed abbia in mente la stessa cosa, anche più smussata, se possibile. Si tratta di alzare i tassi fino al momento in cui il mercato immobiliare rallenta, senza farlo cadere. Quanto alla borsa, la Fed è riuscita in questi tre anni a indurre un rialzo ragionevole e al rallentatore, prevenendo così la necessità di bagni sanguinosi quando sarà il momento. I bond, certo, rimangono ufficialmente un enigma, ma lo sono molto meno se si guarda al meccanismo della seconda Bretton Woods. L’America stampa dollari e l’Asia li accumula. In più, se vuole tenere il cambio stabile, l’Asia deve stampare a sua volta le sue valute, sterilizzandole solo in parte. Tutti stampano soldi, che in parte tengono in piedi la domanda globale e in parte finiscono in asset finanziari e reali, facendoli salire di prezzo.
Questo meccanismo può continuare a lungo, perché il mondo è in deflazione strutturale e sostenere la domanda, in un contesto di offerta tendenzialmente sovrabbondante, fa solo bene.
Poi c’è un altro aspetto. In un mondo in cui l’apparato produttivo si trasferisce in Cina, l’Occidente deve trovare qualcosa da fare. Mentre cerca soluzioni convincenti (tecnologie avanzate, servizi sofisticati, qualcosa di esportabile, insomma) vive di capital gain, di sussidi cinesi (attraverso i prodotti a basso costo e attraverso i tassi bassi resi possibili dal fatto che i cinesi comprano T-Bond, Bund e Btp) e si fabbrica case.
Per il momento va bene, ma è chiaro che l’economia americana non può reggersi troppo a lungo sulle case, se non altro per il fatto che l’aumento dell’offerta immobiliare potrebbe a un certo punto farne scendere il prezzo, ridurre l’equity delle famiglie e comprometterne la propensione al consumo. Poi ci sono altri problemi. La seconda Bretton Woods richiede un’adesione generale dell’Asia alle sue regole. Nel momento in cui qualcuno dovesse defezionare tutta la costruzione vacillerebbe.
Inoltre occorre una grande abilità tattica da parte della banca centrale del sistema, cioè la Fed. Il sistema della seconda Bretton Woods ha un’alta propensione strutturale a generare bolle. Questo da una parte può tranquillizzare i possessori di asset (che sanno che in caso di bear market prima o poi rivedranno i loro prezzi di carico, almeno su base aggregata) ma comporta pericoli gravi in caso di bolle eccessive. Greenspan ha affrontato il problema con un pragmatismo che solo lui può permettersi. Dopo di lui sarà difficile evitare goffi eccessi di rigidità da una parte o, peggio ancora, l’impressione di lassismo dall’altra. I mercati tenderanno a sbandare nei due casi e ogni sbandamednto avrà ricadute negative sull’economia reale.
Poi non va dimenticato che la ciclicità delle economie c’è ancora. Gli americani che hanno trovato lavoro come muratori, agenti immobiliari, idraulici e commessi di ipermercati che vendono prodotti cinesi hanno abbassato mese dopo mese il tasso di disoccupazione. Qualche pressione sui salari si comincia ad avvertire. La produttività decelera. Niente di grave, anche perché questa volta tutto sembra velocemente reversibile. E tuttavia non si può in nessun modo far passare la produttività in calo come positiva per bond e equity, perché è vero proprio il contrario.
In conclusione, chi possiede asset finanziari o reali può effettivamente stare abbastanza tranquillo, per il momento. L’asset inflation di questi anni è in buona parte irreversibile. Chi ha avuto ha avuto.
Greenspan andrà in pensione a febbraio. Forse, come dice Gross, concluderà trionfalmente con un ribasso dei tassi e il tripudio dei mercati, ma sarà sufficiente la fine dei rialzi. Il mondo che ci lascerà sembrerà perfetto, anche se non lo è affatto. Fino ad allora, sorprese esogene a parte, tutto filerà liscio. Dopo vedremo.