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(WSI) –
Sa di yankee e di cowboy quell’incongruo
“Slim”, che in inglese significherebbe
“smilzo”, quando poi lui ha un fisico
da botticella. Ma il fatto è che probabilmente
in origine doveva suonare “Selim”,
che più arabo non si può. I popoli semiti,
però, le vocali non le scrivono proprio
nei loro alfabeti, e le pronunciano appena
a voce.
Così nel 1902 suo padre, quando arrivò
in Messico dal natio Libano, fu registrato
come Julián Slim Haddad. Il ragazzino,
che aveva 14 anni e non sapeva una
parola di spagnolo, lasciò fare. Non era
che uno dei milioni di cristiani libanesi, siriani
e palestinesi che dalla fine dell’Ottocento
hanno continuato a varcare l’Atlantico:
per sfuggire alla pressione della maggioranza
islamica, ma più ancora per “fare
l’America”, fedeli alle antiche vocazioni
imprenditoriali degli avi fenici. Poiché c’era
ancora l’Impero ottomano a quell’epoca
e turco era il loro passaporto, “turcos” li ribattezzarono.
E “turcos” continuano ancora
oggi a chiamare i loro discendenti in
America latina, dove sono la crema del
mondo degli affari e delle professioni. Carlos
Slim Helú è il più ricco fra loro: lui, il
figlio che all’età non più verde di 52 anni
Julián l’immigrato ebbe da una donna
messicana di origini mediorientali. Anzi,
adesso è il più ricco tout court. Con buona
pace degli italiani che lo hanno sbeffeggiato
mica poco, quando si è saputo che
quel levantino latinoamericanizzato voleva
comprarsi la Telecom.
La sua irresistibile ascesa era iniziata a
otto anni, quando iniziò a lavorare nella
merceria di papà. A dodici già investiva in
Borsa; a 15 aveva 44 azioni nel Banco Nacional;
a 25 cominciò ad acquisire attività.
Il tutto, senza mancare di prendersi comunque
una laurea in ingegneria civile.
“Re Mida” lo hanno ribattezzato, per la sua
capacità di far risalire subito le quotazioni
delle imprese in dissesto che comprava.
Già nel 2005, scalando posizioni anno dopo
anno, era diventato il numero tre nella classifica
dei più ricchi del mondo della rivista
Forbes. L’anno dopo era salito al secondo
posto, ma già all’inizio di luglio il giornale
economico messicano “Sentido Común”
aveva anticipato le indiscrezioni su un suo
sorpasso ai danni di Bill Gates: 59 miliardi
contro 58. Adesso il primo posto è stato confermato
da Fortune: 67,8 miliardi, pari al 5
per cento del pil messicano. Dopo essere
cresciuto nel corso del 2006 di tre milioni di
dollari all’ora, Slim ha fatto il passo decisivo
grazie all’ultimo rialzo del 26,5 per cento
delle sue azioni di quell’América Móvil,
numero uno dei cellulari in America latina,
che con la statunitense AT&T aveva tentato
pochi mesi fa la scalata a Olimpia, la holding
di controllo di Telecom Italia, allora in
mano a Marco Tronchetti Provera.
Il bello è che Slim, vedovo dal 1999 e padre
di sei figli (a tre dei quali ha già delegato
gran parte del suo impero), è il primo
a dire che non gli importa niente di essere
“il primo, il ventesimo o il numero 2000”
nella classifica dei più ricchi. Anzi, contesta
addirittura la classifica. “Io ho sempre
le stesse cose che avevo dieci anni fa”, dice.
“Ma Forbes e Fortune calcolano le imprese
ai prezzi di mercato, e questi nell’ultimo
decennio sono andati salendo”. Un
basso profilo motivato anche da ragioni di
prudenza politica, anche se in un paese dove
metà della popolazione vive con meno di
cinque dollari al giorno curiosamente i
suoi critici più accesi non stanno a sinistra.
Al contrario, lui ostenta la sua amicizia con
politici “progressisti” come i coniugi argentini
Kirchner o Andrés Manuel López
Obrador, l’ex sindaco di Città del Messico
sconfitto alle ultime presidenziali. Ma quello
è un appoggio che il presidente Calderón,
di centrodestra, si è appunto legato
al dito, scatenandogli contro la Comisión
Federal de Competencia de México.
Il
grande decollo di Slim, infatti, avvenne grazie
alla privatizzazione con cui il 9 dicembre
1990 il governo di Carlos Salinas de
Gortari gli consegnò, chiavi in mano, il monopolio
telefonico, permettendogli di imporre
i prezzi a suo piacimento. Solo nel
1997, e per effetto della partenza del Nafta,
la Telmex si aprì alla concorrenza, ma senza
che in realtà le sue posizioni venissero
scalfite significativamente.
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