
Roma – L’unica cosa da salvare dei contenuti della lettera di intenti presentata dal governo all’Ue e’ proprio la criticata proposta sulla flessibilita’ del lavoro per facilitare i licenziamenti in caso di crisi economica. Lo sostiene Carlo Stagnaro, direttore del dipartimento Studi e ricerche dell’Istituto liberista Bruno Leoni di cui e’ confondatore.
Secondo la firma del Chicago Blog di Oscar Giannino, sono tanti i punti deboli della lettera di intenti, che come sottolineato dal premier non e’ solo un elenco di promesse, ma rappresenta il programma di governo per i prossimi 18 mesi. Analisti ed economisti nutrono forti dubbi sull’impatto delle misure sui tagli alle province, mentre l’innalzamento dell’eta’ pensionabile e il calendario dell’attuazione della medesima era gia’ previsto nella precedente manovra finanziaria. L’idea di fondo e’ che servirebbe ben altro per garantire il contenimento del debito e stimolare la crescita.
Intanto Tremonti e’ sempre piu’ isolato e, come se non bastasse, l’Italia deve fare i conti con una rottura sociale che da quando e’ scoppiata la crisi del debito non trova precedenti sul suolo nazionale. E ad aver acceso la miccia e’ stata proprio la proposta per “facilitare” la rottura dei contratti a tempo indeterminato. Opposizioni e sindacati parlano di un’iniziativa scellerata, che gravera’ sui piu’ deboli, perche’ una riforma del genere andrebbe accompagnata da ammortizzatori sociali.
Stagnaro non scommetterebbe nemmeno un euro sulle possibilita’ dell’esecutivo di fare qualcosa di concreto nei due mesi di tempo che l’Unione Europea gli ha concesso. La ricetta dell’ingegnere ed economista ambientalista per rendere piu’ flessibile il lavoro, parte dal raggiungimento della parità di trattamento tra “vecchi” ipertutelati e “giovani” precari, al momento cosi’ distante.
Condono e patrimoniale sarebbero invece misure inutili: c’e’ piuttosto da mettere mano a riforme serie dei mercati per alimentare la competitivita’. Liberalizzazioni e privatizzazioni vanno fatte subito, ma con questo esecutivo sono un’utopia, secondo Stagnaro. Se si vuole liberalizzare c’e’ solo l’imbarazzo della scelta e non costerebbe nulla.
In generale meglio abrogare leggi che farne di nuove: il quadro giuridico allontana gli investimenti stranieri e proietta un’immagine di inaffidabilita’ all’estero.
I leader Ue hanno dichiarato di “apprezzare il piano di crescita avanzato dall’Italia, attraverso riforme strutturali e di consolidamento delle finanze”. Suonano come parole di circostanza a riprova del fatto che i 17 hanno improvvisamente e colpevolmente messo in secondo piano il problema Italia, accontentandosi delle promesse presenti nella lettera.
Seppur non priva di buoni propositi, la missiva contiene azioni per lo piu’ insufficienti o vecchie. Che peraltro rischiano seriamente di non essere messe in pratica, viste le divisioni intestine alla maggioranza di governo. Per Stagnaro non vedremo nessun percorso di riforma credibile: l’esecutivo non ce la fara’.
1) Cosa si puo’ fare subito con buoni risultati a costo zero (il fiscalista Tremonti non vuole fare concessioni su questo punto)?
C’è molto da fare. Tutte le classifiche internazionali evidenziano due grandi vincoli strutturali alla crescita economica italiana (oltre alla pressione fiscale): la mancata liberalizzazione di molti mercati e l’incertezza del diritto.
Per quel che riguarda le liberalizzazioni, c’è solo l’imbarazzo della scelta – dal mercato del gas alle poste, dai trasporti ferroviari ai servizi pubblici locali – ma un punto di partenza quasi obbligato è la segnalazione annuale che l’Antitrust invia al governo e alle camere con l’obiettivo di fornire indicazioni per la redazione della “legge annuale per la concorrenza”. Ecco: varare questa legge (siamo ancora in attesa di quella del 2010) sarebbe un buon inizio.
Anche se va detto che alcune delle misure previste dagli impegni con l’Europa sono potenzialmente positive, ammesso che siano effettivamente realizzate: dalla flessibilità del lavoro agli orari dei negozi, fino ai servizi pubblici locali (sebbene qui sarebbe interessante aprire un confronto tecnico per correggere alcuni limiti dell’approccio del governo). Bisogna anche abbandonare l’idea per cui, a qualunque problema, si risponde con una norma aggiuntiva: molto spesso, si risponde meglio abrogando o semplificando le norme esistenti. Del resto, è proprio la pluralità, al confusione e il frenetico cambiamento del quadro giuridico a determinare quell’immagine di inaffidabilità che il nostro paese proietta all’esterno, e che deprime gli investimenti internazionali.
2) Due misure in particolare lasciano aperti punti interrogativi. Capitolo pensioni: l’innalzamento dell’eta’ pensionabile a 67 anni entro il 2026 era una misura gia’ presente nella manovra antecedente, la finanziaria bis. L’abolizione delle province e’ invece gia’ stata bocciata a luglio con un voto decisivo del Pdl e la (criticata) scelta di astenersi del PD.
Berlusconi, in pratica, cerca di vendere un provvedimento sul quale il suo stesso partito e maggioranza erano contrari pochi mesi fa.
Sara’ con ogni probablita’ un’altra occasione sprecata. Di quali tagli l’Italia ha piu’ bisogno?
Distinguerei tra due categorie di tagli. Ci sono i tagli delle spese patentemente inutili (come le province, appunto, o i cosiddetti costi della politica) e ci sono le riduzioni di spesa che derivano dalla riforma di interi settori, come le pensioni o la sanità. Nel caso delle pensioni, è ovvio che all’aumento della durata della vita deve corrispondere un allungamento della vita lavorativa, altrimenti il giocattolo previdenziale si rompe. Nel caso della sanità (ma anche, per esempio, della giustizia) c’è sia un problema di esternalizzazione (non deve essere necessariamente lo Statoa produrre i servizi ma ci si può affidare al settore privato, se èpiù efficiente) sia di organizzazione e produttività del lavoro. Fare un discorso generale è naturalmente impossibile: quello che si può dire è che tutte le maggiori voci di spesa vanno razionalizzate sia nel senso di utilizzare meglio i fattori di produzione, sia di rinunciae alla presunzione che un servizio possa essere “pubblico” solo quando è prodotto da enti pubblici.
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3) Sui licenziamenti e la flessibilita’ del lavoro, invece, il ragionamento dell’esecutivo e’ il seguente: facilitare l’interruzione di contratti a tempo indeterminato “per motivi economici”, salvaguardando invece la tutela assoluta contro quelli discriminatori, con l’obiettivo di aumentare le assunzioni. In tempi di crisi, tuttavia, e’ un sillogismo avventato e un ingranaggio che rischia di incepparsi. Le aziende che negli ultimi tempi hanno apportato tagli al personale, lo hanno fatto per ridurre i costi, non per ringiovanire l’organico. Servirebbero a questo punto ammortizzatori sociali. Quali sono, piuttosto, le misure necessarie per stimolare la competivita’ e contrastare il precariato?
Credo che l’intervento sulla flessibilità del lavoro sia condivisibile. Tutte le evidenze ci dicono che i tassi di occupazione sono più alti, dove assumere un dipendente non equivale a celebrare un matrimonio. Introdurre oggi norme di questo tipo serve proprio a rendere possibili nuove assunzioni, da parte di imprese che, altrimenti, data l’incertezza dello scenario tenderebbero ad avere comportamenti prudenti. Ma serve anche nel medio–lungo termine per mettere in moto un meccanismo efficace di selezione e valorizzazione del capitale umano e per porre termine alla “dualità” del mercato, come dice Pietro Ichino, cioè all’assurda disparità di trattamento tra “vecchi” ipertutelati e “giovani” precari. Tra l’altro questo produce distorsioni pesanti, perché, quando si trovano obbligate a ridurre gli organici, le imprese sono costette a espellere i giovani, mediamente più dinamici e aggiornati, perdendo così in produttività media del lavoro.
4) I grandi assenti: patrimoniale e liberalizzazioni. Patrimoniale: in un momento come quello attuale in cui servono soldi subito, secondo alcuni esperti in materia fiscale la patrimoniale sarebbe uno strumento prezioso. Ma e’ ormai evidente che non piace al premier e soci. Il condono o concordato rischia invece di aver effetti controproducenti e porterebbe risultati solo sul breve. Non sarebbe meglio lavorare a un accordo per il rientro dei capitali con la Svizzera, come hanno fatto Germania e Regno Unito, garantendosi entrate ingenti da questo fronte in futuro?
Sono contrario sia alla patrimoniale sia ai condoni (se non in condizioni molto particolari). Anche una strategia di rientro dei capitali dall’estero mi pare votata all’insuccesso, se non altro perché lo scudo fiscale ha già raccolto quello che si poteva raccogliere. L’unico strumento staordinario di finanza pubblica disponibile (e utile) sono le privatizzazioni, che avrebbero il duplice effetto di dare ossigeno al debito pubblico e mettere sul mercato, rendendoli più produttivi, asset pubblici.
Purtroppo mi pare che il governo non abbia alcuna intenzione di perseguire questa strada: parlare di cessioni (solo immobiliari e solo di immobili facilmente valorizzabili) per un totale di 15 miliardi di euro in tre anni, a fronte di un valore totale degli asset mobiliari e immobiliari pubblici stimato nell’ordine dei 1800 miliardi, è parente stretto della presa in giro.
5) Liberalizzazioni: quali sono i settori da liberalizzare con piu’ urgenza secondo le ricerche dell’istituto Bruno Leoni?
Le rispondo con una battuta: bisogna liberalizzare tutto quello che non è liberalizzato. Il nostro indice delle liberalizzazioni valuta al 49 per cento il grado complessivo di lberalizzazione dell’economia italiana. Alcuni settori sono più critici di altri (per esempio, l’elettricità va piuttosto bene, i trasporti molto male). Contemporaneamente, alcuni interventi sono più semplici di altri. Non importa, in fondo, da dove si comincia, purché si cominci da qualche parte e lo si faccia in modo credibile. Quest’estate, comunque, noi abbiamo proposto un’agenda di liberalizzazioni in otto punti: gas, trasporto ferroviario regionale, servizi pubblici locali, acqua, poste, orari e giorni di apertura dei negozi, assicurazione infortuni, telecomunicazioni.
6) L’esecutivo ha due mesi di tempo, ce la fara’? Anche considerando le divisioni all’interno della maggioranza (nonostante l’accordo tra Lega e Pdl sulle pensioni)? Tremonti non ha nemmeno letto la versione finale della lettera di intenti, bensi’ solo la bozza scritta la sera prima.
Non credo nessuno pretenda che l’esecutivo faccia tutto in due mesi (anche perché la fretta è sempre cattiva consigliera). Credo che tutti si aspettino che il governo faccia almeno qualcosa, e avvii almeno alcuni percorsi di riforma, in modo serio e credibile. Quindi, se la domanda è se ciò sia teoricamente possibile, la risposta è sì; se la domanda è se ci scommetterei sopra, la risposta, purtroppo, è nemmeno un euro.