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Il Giappone va lasciato fallire, come l’Argentina

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NEW YORK (WSI) – Ci sono due motivi principali da prendere in considerazione prima di pensare a cosa accadra’ nell’eventualita’ di un default del debito sovrano nipponico.

Innanzitutto le dimensioni del suo debito. E’ talmente grande e il mercato obbligazionario talmente riluttante, che Tokyo si trova a dover decidere tra iper inflazione, rigida austerita’ oppure fare crack. Un default, sebbene sia come un lancio del dado, rimane l’opzione migliore. Dopo tutto, quando l’Argentina ha fatto crack nel 2001, l’economia ha impiegato solo tre anni per riprendersi, facendo anche meglio del trend pre-fallimento.

E’ l’opinione del giornalista finanziario dell’Atlantic Noah Smith, che sul suo blog Noahpinion sottolinea come l’indice della Borsa Nikkei ha gia’ perso per strada meta’ dei guadagni accumulati dallo scorso novembre quando e’ inizio il boom dell’era Abeconomics. Stamattina la Borsa di Tokyo e’ crollata del -6,35%. Pesano il rafforzamento dello yen e le ultime decisioni della Banca centrale giapponese. Il quadro macroeconomico rimane abbastanza buono, tutto sommato.

Gli episodi di default del passato non si sono mai materializzati in uno scenario apocalittico. Se un eventuale crack del debito sia meglio dell’iper inflazione rimane da vedere, ma sarebbe sempre meglio di un lungo periodo di stagnazione provocata da misure di austerita’ severe.

L’austerita’ ridistribuirebbe il benessere in Giappone, in uscita dalle tasche dei giovani verso quelle delle vecchie generazioni, che a livello economico stanno gia’ bene in linea generale. Un default rappresenterebbe invece un trasferimento del benessere dalla generazione piu’ anziana verso i tanti giovani in difficolta’. Il tutto va inserito in un contesto giapponese di progressivo invecchiamento della popolazione.

Il secondo valido motivo per contemplare un default e’ invece di natura macroeconomica. Il giudizio di osservatori e analisti a questo proposito e’ unanime: il paese ha bisogno di riforme strutturali, in particolare per curare i problemi di produttivita’ stagnante. Ma su questo fronte le proposte di Shinzo Abe sono estremamente anemiche. E tenuto conto della debolezza del sistema politico, su quel versante e’ difficile aspettarsi grandi cambiamenti.
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Il quotidiano nazionale Hoshi (vedi grafico qui sopra) attribuisce la fiacchezza della produttivita’ alle societa’ “zombie” che continuano a vivere solo grazie alle ripetute infusioni di prestiti a tassi vantaggiosi.

Questi zombie contribuiscono a tenere fuori dai mercati le aziende piu’ sane e giovani, in rapida crescita. Il popolare giornale cita i calcoli della ricerca effettuata da Ricardo Caballero e Anil Kashyap.

I bassi livelli di produttivita’ sono anche provocati da una governance aziendale inefficiente in Giappone.

Un terzo motivo e’ legato alla prevalenza della gestione familiare, un’altra caratteristica problematica che il paese condivide con l’Italia (e il Portogallo).

Finche’ societa’ zombie e aziende familiari non chiuderanno in massa, lasciando spazio ai gruppi ben gestiti e in salute, il Giappone non uscira’ mai dalla crisi. Gli Stati Uniti hanno vissuto un’esperienza di questo tipo negli Anni 80, ma difficilmente Tokyo avviera’ una deregulation cosi’ estrema, aprira’ cosi’ tanto gli scambi commerciali e lascera’ entrare i pirati stranieri dell’investimento.

L’equilibrio costituito dall’intreccio di interessi politici e’ troppo forte. Solo un gigantesco schock esterno potrebbe provocare la distruzione di cui l’ancien regime dell’economia nipponica ha bisogno.

Un default avrebbe l’effetto di riazzerare il sistema. Gli zombie moriranno in massa e se la storia giapponese puo’ servire da insegnamento, basti ricordare a come Sony e Honda sono sorte dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.

Ovviamente, cosi’ come durante una guerra, ci sarebbero da mettere in conto costi umani, un allargamento delle ineguaglianze sociali (dove il Giappone sta gia’ peggio dell’Europa), e seri rischi politici.

In sinstesi, il default e’ come un lancio del dado. Se la scommessa non andra’ a buon fine le conseguenze potrebbero essere anche la fine del pacifico, bello e relativamente libero Giappone che tutti conosciamo. La domanda da porsi e’: vale la pena correre il rischio?