Società

IL FASCINO DELL’INFLAZIONE

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di Carlo Mazzola*

Sono sempre più numerose le emissioni legate all’inflazione, cerchiamo di capirne i segreti.

Nell’ultimo anno le emissioni di titoli strutturati legati al tasso di inflazione (europeo ed italiano) sono aumentati enormemente, cerchiamo di capirne quale sia la ragione e, soprattutto, se esistano criteri di valutazione accessibili anche ai risparmiatori meno addentro alla teoria della finanza.

Un breve ripasso di teoria economica consente di svelare le logiche:
La cedola di un’obbligazione (ad esempio di un BTP) può essere scomposta in due componenti: il tasso reale + l’inflazione, al momento cedole del 4,5%, associate ad un’inflazione del 3%, equivalgono ad un tasso reale del 1,5%.

In numeri possiamo dire: 3%+1,5%=4,5%

Nella realtà, quello che possiamo osservare è il tasso nominale (la cedola) o l’inflazione, mentre il tasso reale è ottenuto per differenza, nell’esempio precedente, se noi sappiamo che la cedola è il 4,5%, mentre l’inflazione è il 3%, ricaviamo il tasso reale dell’1,5%
In numeri: 4,5%-3%=1,5%

Il primo punto da osservare nelle nuove emissioni è il “premio” rispetto all’inflazione, di solito la struttura di questi titoli è del tipo: ogni anno verrà pagata una cedola pari al tasso di inflazione maggiorata dell’1%.

Nel passato, in Europa, la differenza tra tasso di interesse e tasso di inflazione è stato in quasi del 3% raggiungendo in alcuni casi valori anche più elevati.

In questa fase di mercato, il tasso reale si trova su livelli molto bassi, anche perché le autorità monetarie stanno cercando di fornire stimoli all’economia utilizzando una politica di tassi REALI bassi per creare una spinta agli investimenti. I risultati sull’economia reale europea al momento si vedono poco, la conseguenza è però di avere tassi di interesse reali bassi che facilita l’emissione di questi titoli.

Tuttavia, non bisogna solo guardare al tasso reale storico, perché questi titoli hanno “in pancia” la protezione dal tasso di inflazione futuro, in sostanza preserveranno il nostro potere di acquisto e, quindi, questa forma di assicurazione avrà un costo da sopportare.

Come sempre tra gli emittenti c’è chi fa il furbo e chi si comporta più correttamente, le prime obbligazioni garantivano una maggiorazione sull’inflazione di circa l’1,5%, mentre nelle ultime settimane abbiamo rilevato maggiorazioni inferiori all’1%, da parte di emittenti con un merito di credito inferiore (intendiamo la capacità nel pagare i debiti, problema che è emerso spesso negli ultimi anni).

Ci auguriamo che questa nuova passione dei risparmiatori non si trasformi in un’occasione per emettere titoli ad un valore di gran lunga superiore a quello teorico.

Per riassumere i punti da tenere sotto controllo sono:

  1. Il premio pagato rispetto all’inflazione;
  2. Il tasso di inflazione al quale il titolo è legato (i prezzi in Italia corrono più che in Europa e, quindi, è meglio scegliere qualcosa di “nostrano”: dopotutto mangiamo in Italia e non all’estero…);
  3. Esiste sempre un rischio emittente e, pertanto, a parità di condizioni la BEI è meglio dello Stato Italiano che, a sua volta, è preferibile ad un emittente bancario.

Con queste piccole regole potete tranquillamente scegliere i migliori titoli inflation linked strumenti che, a nostro avviso, hanno un valore molto elevato per i risparmiatori in quanto li difendono dal vero rischio che minaccia lo loro ricchezza nel lungo termine: l’inflazione.

Ricordiamoci che in un passato non molto lontano interi patrimoni sono stati cancellati dall’aumento dei prezzi.

*Carlo Mazzola e’ il fondatore di NoRisk