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IL FALLIMENTO DELL’ACCORDO SWIFT E IL SEGRETO BANCARIO

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*Ranieri Razzante, oltre ad essere docente di Legislazione Antiriciclaggio all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è presidente di AIRA, l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio. AIRA è un’associazione indipendente, non politica e senza fini di lucro. Il suo compito è quello di diffondere la cultura della lotta al riciclaggio di denaro sporco. Maggiori informazioni su: www.airant.it. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Ciò è quanto ribadito dal Garante per la Privacy nel Provvedimento 18 giugno 2009 chiamata alla risoluzione di uno specifico caso: l’Autorità ha infatti statuito che gli istituti di credito, innanzitutto obbligati ad adottare misure di sicurezza idonee a garantire la scrupolosa vigilanza sull’operato degli incaricati e a sensibilizzare i propri funzionari al rigoroso rispetto delle norme sulla privacy attraverso attività di formazione, una volta acquisita la conoscenza di accessi non autorizzati ai dati della clientela, inclusi quelli eventualmente effettuati dai suoi dipendenti, sono tenuti a comunicarlo tempestivamente agli interessati.

Una tale manifestazione di pensiero appare in questo frangente di estremo interesse soprattutto alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di accertamenti fiscali e, ancor più, nell’evoluzione comunitaria, ma a più ampio raggio, internazionale, in seguito al fallimento degli Accordi Swift.
Ma andiamo per gradi. Innanzitutto è necessario un breve cenno su uno dei temi più dibattuti del nostro secolo in ambito bancario: il segreto bancario. Esso è certamente da distinguere dalla doverosa riservatezza che la banca deve dimostrare nei confronti del cliente e del rapporto con esso intrattenuto. Con il termine segreto bancario si indica il dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le banche in relazione alle operazioni, ai conti ed alle posizioni concernenti i loro clienti. Il segreto bancario ha assunto rilevanza giuridica esclusivamente attraverso norme procedimentali che ne garantiscono la tutela.

Il velo bancario cede però, con il via libera di tutti i Paesi evoluti, in caso di illeciti penali. L’ostruzionismo rimane quando bisogna definire esattamente cosa sia reato.

La tutela riguarda un interesse pubblico costituzionalmente garantito ovvero l’esigenza di garantire ed incoraggiare il risparmio nazionale; da ciò deriva una ponderazione di interessi conflittuali entrambi di natura pubblicistica ovvero la tutela del risparmio e le esigenze di accertamento dell’amministrazione.

La Corte Costituzionale definisce il segreto bancario come dovere di riserbo delle banche rispetto alla clientela pur non riconoscendo in tale dovere una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, poiché il riserbo è direttamente strumentale ala sicurezza ed al buon andamento dei traffici commerciali.

Secondo l’attuale normativa, l’accesso ai dati bancari è subordinato al rilascio di un’autorizzazione preventiva ad parte dell’autorità sopraordinata rispetto all’organo che dovrà svolgere il controllo. Il sistema fiscale sta procedendo progressivamente da una cultura del segreto e della riservatezza ad una cultura della trasparenza.

Si assiste dunque al superamento ed alla sintesi delle posizioni sostenute dai due orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. La mancanza della motivazione costituisce un vizio del procedimento che può portare al suo annullamento per violazione di legge, mentre l’insufficienza o l’inadeguatezza è censurabile per eccesso di potere. Ciò è ribadito con forza dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 16874 del 21 luglio 2009, “un avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio (o dalla Guardia di Finanza) è illegittimo solo quando dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione prevista e tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente” .

L’utilizzabilità di dati bancari acquisiti senza la prevista autorizzazione inficia la loro efficacia in sede processuale. I supremi giudici, con altra pronuncia nel 2003, avevano già affermato che la mancanza di autorizzazione “non preclude l’utilizzabilità dei dati bancari comunque acquisiti in quanto il provvedimento autorizzativi attiene ai rapporti interni e perché in materia tributaria non vige il principio presente invece nel codice di procedura penale secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente”. Un compromesso rispettoso dei due contrastanti orientamenti giurisprudenziali: l’inutilizzabilità potrebbe essere applicata analogicamente nel processo tributario a condizione che l’irritualità dell’assunzione della prova comprima il diritto di difesa del contribuente o abbia eventualmente inciso ledendo un diritto soggettivo costituzionalmente garantito.

Il concetto di segreto bancario sta ad indicare l’obbligo in capo alle banche di mantenere il più assoluto riserbo sulle informazioni concernenti gli affari della clientela, ossia l’insieme delle notizie relative al cliente che la banca non può rivelare se non in presenza di particolari circostanze a meno che non intervenga il consenso del cliente stesso. Principale beneficiario del segreto bancario è dunque il cliente dell’istituto di credito.

In ambito internazionale il discorso si fa più ampio ed articolato: qui subentrano motivazioni di ordine superiore riconducibili al contrasto alla criminalità organizzata che prevede il monitoraggio continuo dei flussi finanziari, o ancora, del contrasto al finanziamento del terrorismo. In questa direzione si è mossa la comunità europea su spinta degli Stati Uniti d’America, per avviare un procedimento di controllo “condiviso” dei flussi bancari mediante circuito internazionale. Nello specifico, quello che è stato ribattezzato accordo Swift, prevedeva nella sua originaria formulazione la possibilità per il Governo americano di monitorare, e quindi di fatto entrare, nei conti correnti dei cittadini europei, al fine di controllarne i flussi ed individuare movimenti di denaro sospetti.

Il termine Swift è l’acronimo della Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications società con sede in Belgio attiva nella gestione delle transazioni finanziarie di quasi 8.000 istituti finanziari in 200 paesi diversi. Di fatto la società avrebbe continuato ad archiviare le informazioni derivanti dai rapporti bancari in essere tra cittadini europei ed istituti di credito, per poi essere trasmessi negli Stati Uniti dove sarebbero stati analizzati. Il fenomeno in realtà non è nuovo. Da un dossier reso pubblico nel 2006, emerge che già dall’ormai lontano settembre 2001 gli Stati Uniti si servissero di tale strumento per svolgere l’operazione appena enunciata, con il beneplacito della Comunità europea ma senza la dovuta trasparenza nei confronti dei cittadini comunitari. Ciò ha portato ad avanzare la richiesta di regolarizzazione di questa pratica mediante accordo comunitario, tale da renderlo efficace in ogni stato europeo.

Ma a questo punto, gli accordi Swift hanno trovato la ferma opposizione dell’Europarlamento, che a larga maggioranza ha respinto tale evenienza. L’autorità ha ritenuto l’accordo lesivo del diritto alla difesa della privacy e di tutela dei dati sensibili, evidentemente non tutelati a dovere dalle autorità americane. La mancanza delle necessarie garanzie, sia in tema di conservazione, sia di utilizzo dei dati forniti dalla comunità hanno fatto si che l’accordo venisse respinto con forza; l’accordo trovava la sua base giuridica in un accordo di mutua assistenza giudiziaria che permette lo scambio di dati nel quadro della legislazione interna degli Stati membri dell’Unione. A quanto risulta, nel luglio 2009, un nuovo accordo stava per essere negoziato in seguito alle modifiche nella struttura della SWIFT.

La società aveva “istituito un centro di stoccaggio per i suoi dati europei in Svizzera, il che significava che i dati intra – europei restavano conservati in Europa. Fino ad allora i dati erano anche custoditi su un server negli Stati Uniti”. Ma a questo punto le due comunità hanno trovato l’ostacolo del Parlamento che ha emesso il suo verdetto contrario, di fatto costringendo gli Stati Uniti a rivedere il proprio sistema dei controlli bancari esteri. La comunità europea richiede essenzialmente che i dati personali vengano trattati nel pieno rispetto dei principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali e che vengano fornite garanzie in tema di repressione di eventuali abusi e tutela delle libertà civili.

Conclusioni

In questi anni, la Comunità europea ha mostrato grande attenzione nei confronti del terrorismo internazionale, In quanto a disponibilità alla collaborazione fra amministrazioni di Paesi diversi sui conti di non residenti, il tema è più delicato, perché è difficile concepire una totale liberalizzazione degli strumenti di lotta al terrorismo tali da ledere l’interesse alla riservatezza del singolo. Al di là dell’evidente invasione di campo, a nostro vedere questa concezione rappresenterebbe una vera sconfitta del nostro sistema che cede di fronte al terrorismo limitando la libertà personale ben al di là dello stretto necessario. Per quanto riguarda il caso dell’Italia, la questione problematica consiste nell’individuare la fonte che obblighi al rispetto del segreto bancario dal momento che, come noto, non esiste nel nostro ordinamento una norma che presenti un simile contenuto.
L’opinione è consolidata nel senso di ritenere che il segreto bancario sia un istituto immanente nel nostro ordinamento rimettendo alla più specifica professionalità di altri l’individuazione della sua corretta qualificazione giuridica.

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