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IL DRAKE UOMO FORTE IN BANKITALIA

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Una cosa è certa: la scelta di
Mario Draghi non è stata un
ripiego. Intanto perché il suo nome
è condiviso dall’opposizione e non
si è ripetuto il rituale della lottizzazione
che molti temevano (noi stessi
proprio su questa colonna, una
settimana fa avevamo paventato il
rischio). In secondo luogo perché
l’uomo non è tipo da fare la comparsa.

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Lo ha dimostrato nei dieci
anni in cui ha gestito il Tesoro come
direttore generale. Uno dei decenni
più difficili della storia italiana. Voluto
da Guido Carli nel 1991,ha attraversato
la caduta della lira, il collasso
del sistema politico, i governi
di transizione, la breve esperienza
del primo Berlusconi, la legislatura
di centrosinistra.Si è comportato da
grand commis leale, non da Tayllerand.
Ha perseguito, infatti, un disegno
strategico che ha attraversato le
diverse maggioranze politiche: la
privatizzazione delle grandi banche
e dell’industria pubblica. Da
funzionario dello stato,ha introdotto
una logica di mercato. Un piccolo
centauro, sulle orme del grande
centauro Enrico Cuccia.

C’è chi
non ha gradito che,una volta lasciato
il Tesoro, sia andato a lavorare
per Goldman Sachs, banca d’affari
che ha partecipato alla vendita dello
stato imprenditore. Ma questo
andirivieni, molto americano, tra
pubblico e privato, può produrre
una ibridazione benefica. Certo
non sarà il governatore Draghi ad
alzare il tricolore quando una banca
straniera vorrà espandersi in Italia.
O a vigilare sulla stabilità con un
approccio amministrativo e paternalista.
Tuttavia, adesso avrà una
missione diversa da quella che ha
esercitato al Tesoro.Come banchiere
centrale è uno dei tutori di un bene
nazionale, il risparmio, protetto
dalla Costituzione (lo ha voluto ricordare
proprio Carlo Azeglio
Ciampi). Dovrà integrare pienamente
il sistema creditizio italiano
nel mercato europeo e mondiale.

Non certo disintegrarlo. Il risiko
bancario e finanziario che riprenderà
alla grande l’anno prossimo,
richiede una rotta chiara e un solido
timoniere. Non è un compito
facile. Gli toccherà, molto probabilmente,
discutere a muso duro
con banchieri diventati grandi all’interno
di quel matrimonio morganatico
che faceva della Banca
d’Italia la banca delle banche.Draghi
risponderà all’azionista governo.
Ha meno libertà di manovra rispetto
ai suoi predecessori, ma ne
guadagna la trasparenza. Del resto,
i tempi sono cambiati. Ad impedire
che si trasformi in cassiere
del principe (come era accaduto in
passato anche a Carli) ci pensa ormai
la Banca centrale europea, alla
quale spetta battere moneta.

Amato dalla City. Con Draghi
in via Nazionale,chiunque sarà ministro
del Tesoro dopo le elezioni di
aprile avrà un collaboratore forte e
vigile,non un piatto esecutore.E’ un
bene che ci sia una chiara dialettica,
anche perché il prossimo governo
dovrà mettere in campo immediatamente
una politica economica coraggiosa:
il risanamento della finanza
pubblica richiede scelte difficili,
ancor più il rilancio dell’economia
reale prostrata da anni di crescita
zero.Draghi è un uomo amato da
chi opera sul mercato mondiale.

Un
vero chou chou della City e lo dimostra
l’accoglienza che gli hanno
riservato il Financial Times e il Wall
Street Journal. Adesso finiranno di
parlar male di noi (almeno per un
po’) e non ci sarà più un ministro
del Tesoro che sventola sotto il naso
del governatore le centinaia di articoli
critici scritti dai giornali stranieri
che muovono i mercati, come fece
Siniscalco con Fazio.Ma la cattiva
stampa (così come la buona) è
l’epifenomeno.Draghi dovrà andare
alla sostanza e mostrare molto
presto di che pasta è fatto.

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