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IL DOW NON E’ QUEL CHE SEMBRA: E’ PEGGIO

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Chi pensa che il Dow Jones sia sull’orlo del mercato orso ma e’ convinto che non ci sia ancora arrivato perche’ non ha perso oltre il 20%, come invece ha fatto l’S&P 500, dovrebbe forse ricredersi.

Secondo Businees Week la ragione e’ semplice: il Dow Jones non e’ un indice ponderato (come l’S&P 500) ma esprime la mera media matematica dell’andamento dei prezzi dei trenta titoli che rappresenta.

Per rendersene conto, basti considerare il valore complessivo della capitalizzazione di mercato delle trenta blue chip, che dai massimi del 14 gennaio 2000 hanno perso circa il 29% (minimi del 22 marzo). Il che e’ coerente con il declino di circa il 28% dell’indice S&P 500.

Piu’ precisamente, delle trenta blue chip, al 9 aprile scorso, 21 avevano perso in capitalizzazione di mercato. Delle 9 rimaste, tre hanno guadagnato in seguito a fusioni e acquisizioni piuttosto che a un apprezzamento del valore del titolo.

Alcoa, per esempio, era destinata a perdere in capitalizzazione se non fosse che l’ha aumentata del 17%, emettendo nuovi titoli per operare una serie di acquisizioni, tra cui Reynolds Metals.

In altri casi, come AT&T e International Paper, nemmeno un aumento di capitale e’ riuscito a fermare il declino del prezzo per azione.

Un’altra considerazione getta ancora piu’ luce sulla questione.

Tra le 21 blue chip che hanno perso dal 14 gennaio 2000 al 9 aprile, sono rappresentate egualmente sia la ‘new economy’ (Hewlette-Packard, Intel, IBM e Microsoft) sia la ‘old economy’ (Procter & Gamble, Exxon Mobil).

Com’e’ possibile che il Dow dia uno spaccato cosi’ irrealistico della congiuntura del mercato?

Prima di rispondere e’ bene ricordare che il Dow, o il Dow Jones Industrial Average, rappresenta un’eccezione e non la regola tra le centinaia di indici creati dalla Dow Jones & Co. per monitorare il polso del mercato.

Questi ultimi sono tutti ponderati e usati con rispetto dalla comunita’ finanziaria internazionale.

Ma la struttura del Dow, creato da Charles H. Dow il 26 maggio 1896 come una media matematica dei principali titoli ritenuti “benchmark” del mercato, non e’ invece cambiata.

Ha subito nel tempo lievi modificazioni per rendere conto di variazioni dovute a frazionamenti azionari, acquisizioni o bancarotte improvvise.

Ma non e’ attrezzato per rendere conto di un parametro che via via ha assunto un’importanza sempre maggiore: il valore della capitalizzazione di mercato.

Basta un esempio per capirsi: se Intel, che rappresenta circa il 5% del valore totale del Dow, dichiarasse bancarotta domani e il valore delle proprie azioni scendesse a zero, l’effetto sul Dow sarebbe un puro calo di 151 punti, o una perdita dell’1%.

Morale della favola: il Dow rimane uno degli indici azionari piu’ seguiti del mondo. Ma chi investe sulle blue chip del Dow rischia di soffrire perdite piu’ consistenti di quello che non compare dal semplice andamento medio dell’indice.