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IL DIRETTORE DELL’ECONOMIST? PER CONCORSO

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(WSI) – Direttore cercasi, per concorso. Quello che era il mistero irrisolto delle dimissione di Bill Emmott dalla guida dell’ Economist («perché non è stato nominato un successore?»), trova il giorno dopo la sua risposta, impensabile in Italia, ma nella più pura prassi del settimanale britannico: perché sarà scelto per concorso, dopo le interviste con una commissione di esaminatori.

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Ieri mattina i redattori del settimanale di St James Square, a due passi da Piccadilly e dalla residenza del principe Carlo, si sono trovati nella mail il «bando». Chi vuol partecipare, deve inoltrare la propria domanda entro il 6 marzo. Oltre al curriculum, presenti un progetto per l’« Economist del futuro». Un subcomitato, nominato dal consiglio d’amministrazione, selezionerà e intervisterà i candidati. Quindi stilerà entro il 14-16 marzo una shortlist di due-tre nomi. Da questa ristrettissima rosa, il consiglio d’amministrazione del gruppo editoriale (nel quale Pearson, padrone del Financial Times , ha il 50%) sceglierà il suo direttore entro il 27 marzo. In modo che inizi a firmare il giornale nella prima o nella seconda settimana di aprile. Non sono escluse, ovviamente, candidature esterne, come nei concorsi a cattedra a Oxford, tuttavia nei corridoi si scommette che la scelta cadrà su un interno, forse qualcuno tra i vicedirettori e dei responsabili delle sedi più importanti, come quella di New York.

Intanto ieri Emmott ha visto a pranzo alcuni dei suoi più stretti collaboratori, ai quali ha spiegato i motivi che l’hanno spinto a lasciare: «Stavo bene qua, penso solo d’aver fatto ciò che era nell’interesse del giornale». Ha confessato di aver provato a lasciare già nel 2005, ma l’editore gli chiese di restare per un altro anno. «Non credo – ha detto ieri – che gli incarichi a vita facciano bene alle istituzioni».

Emmott ha diretto l’ Economist per 13 anni, com’è successo solo una volta nella storia del settimanale (fondato nel 1843), e non intendeva fissare altri record di durata. Lascia un giornale, oltreché prestigiosissimo e portato a 1 milione di copie, con delle finanze floride al contrario dell’altro gioiello del gruppo, il Financial Times , che si è sì internazionalizzato, ma stenta sul terreno della redditività. Anche per questo, per il successore, il confronto sarà duro da reggere.

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