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(WSI) –
Che ci sia caldo, il più gran caldo degli ultimi – chissà quanti – anni, è appurato. Tanto che anche gli analisti di Citigroup, la più grande banca mondiale, lo ammettono: «Per gli investitori – scrivono in un report di alcuni giorni fa – l’interrogativo non è “se” sia in corso un cambiamento climatico». La questione, semmai, è come guadagnarci.
Citigroup, dunque, si è interrogata sulle «opportunità di breve termine create dalle reazioni al clima di una varietà di organizzazioni: governo, regolatori, società e individui». Le variabili da considerare sono «le implicazioni fisiche di una variazione climatica: è vero che sono fenomeni di lungo termine, ma possono comunque avere ripercussioni immediate».
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Perché ci sono le conseguenze regolamentari. E perché, in questo modificarsi di eventi e scenari, c’è «l’effetto comportamentale» delle aziende, alla ricerca di strategie di anticipo delle variazioni ambientali e amministrative. Citigroup arriva a stilare una lista di 74 società «che sembrano ben posizionate di fronte alle opportunità che si aprono».
Nel paniere ci sono aziende energetiche, specialmente quelle legate alla distribuzione del gas (Gaz de France, Iberdrola, Gazprom), ma anche industrie apparentemente meno legate al clima: le costruzioni di Acciona (perché attiva nell’energia solare), la chimica di DuPont (per via dei nuovi combustibili all’etanolo), ma anche il Chicago Mercantile Exchange (perché principale mercato per le negoziazioni di future su etanolo e prodotti verdi). Nella lista ci sono poi le raffinerie finlandesi di Neste Oil (grande produttore di biodisel) e la Peugeot (per via «dell’ampia offerta di vetture a diesel, di piccole dimensioni e ibride»).
Dall’analisi emerge un ulteriore dato: mancano le aziende italiane. Forse, perché lo studio è del team di ricerca globale di Citigroup, e l’Italia è meno coperta di altre aree. O forse, perché in termini di precauzione sugli scenari futuri, l’Italia è meno coperta e basta.
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