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(WSI) – La crisi in Medio Oriente incendia il prezzo del petrolio? Franco Bernabè è tranchant nella risposta: «In realtà c’entra poco o nulla». L’attuale vicepresidente di Rothschild Europa, che dal 1992 al 1998 ha ricoperto la carica di amministratore delegato dell’Eni, non ama i luoghi comuni. Ricercare un reale ed immediato nesso di causa-effetto tra la crisi in Libano e il recente record del Brent a 77 dollari al barile è sbagliato.
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«Certo – sottolinea Bernabè – le quotazioni, negli ultimi tempi, sono salite molto ma questo è conseguenza dell’enorme mole di strumenti finanziari legati all’oro nero. Ormai, l’80% degli scambi sul mercato oil sono di natura finanziaria e questo, giocoforza, ha un effetto moltiplicatore degli eventi reali». Insomma, è la speculazione a giocare un ruolo determinante e il recente boom della quotazione del barile è indipendente da un reale gap tra offerta e domanda. «Io non credo – afferma Bernabè – che i paesi arabi produttori realizzeranno un embargo come, per esempio, quello del ’73. L’Opec, dal canto suo, non ha capacità di riserva e quindi più che incidere sull’andamento si adegua agli umori del mercato. Alla fine, la recente fiammata ha più il sapore della finanza e che quello di un’ulteriore stretta sul lato dell’offerta».
Ma per quanto tempo riusciremo a convivere con questi livello di prezzo?
I livelli attuali saranno sostenibili fino a quando l’economia mondiale resterà in forte crescita, come è successo negli ultimi tre/quattro anni.
Molti esperti sostengono che i giacimenti di petrolio vanno esaurendosi..
Io penso che, allo stato attuale, le risorse fisiche non scarseggino. A ben vedere, la questione è strettamente legata al prezzo del barile. A fronte, infatti, di giacimenti sempre più difficili da sfruttare, se io posso vendere il petrolio a prezzi così alti, ho un ampio margine di manovra per sviluppare quelle tecnologie che mi permettono l’estrazione. Anche la più complessa.
Ma è solo speculazione? Spesso le società petrolifere sono accusate di aver dimenticato proprio l’innovazione: scarsi investimenti in tecnologia che, a fronte di giacimenti sempre più difficilmente accessibili, fanno aumentare i prezzi d’estrazione.
Il ritardo esiste. Però non è affatto semplice convincere una società ad impegnarsi quando, per esempio, i giacimenti delle sabbie bituminose canadesi sono profittevoli già con un prezzo al barile di 25 dollari.
In questa situazione Lei crede che le aziende di un paese come l’Italia, storicamente carente di materie prime, possano pagare un duro scotto?
Non sono tropo pessimista. Il tessuto industriale italiano è formato da molte società di servizi che svolgono un’attività dove la voce petrolio non incide eccessivamente. È chiaro: la bolletta energetica creerà qualche problema. Ma non lo considero un problema insuperabile per il sistema Italia. Anche perché c’è da rilevare un altro aspetto.
Vale a dire?
Il prezzo del petrolio negli ultimi due anni si è duplicato ma questo non ha dato vita a fenomeni inflattivi preoccupanti. L’indice dei prezzi al consumo, nell’area dell’euro, si è mantenuto attorno al 3-4%. E questo grazie alla forte crescita dei paesi emergenti, o della stessa Cina, che hanno permesso di assorbire il fenomeno. A ben vedere, esiste ben altra spada di Damocle, a livello di sistema. Quest’ultima sì, veramente rischiosa. E nessuno, però, ne parla.
A cosa si riferisce?
Dopo l’11 settembre abbiamo assistito ad un’enorme iniezione di liquidità da parte delle banche centrali. Le quali, attraverso una politica monetaria espansiva (cioè tassi d’interesse bassi, ndr), hanno di fatto favorito l’esplosione di strumenti finanziari che sfruttano il debito. Basta pensare, per esempio, ai buy out funds. Il costo del denaro così basso, però, ha annullato il premio di rischio dando vita ad una sorta di peccato originale.
Cosa vuol dire?
La maggioranza di queste operazioni è stata certamente realizzata in maniera corretta. Ma l’eccessivo ricorso a simili prodotti finanziari avrà sicuramente permesso, da qualche parte, la creazione di un baco nel sistema. Che, prima o poi, esploderà in maniera certamente non indolore.
Una crisi finanziaria che sarà incontrollabile?
No, non penso questo. Sarà una crisi dura, paragonabile a quella del 1987. Ma la natura stessa dei mercati finanziari permetterà di fare da barriera contro la valanga.
In quale modo?
La sofisticazione finanziaria, sostenuta anche dal diffuso utilizzo di complessi sistemi tecnologici e modelli matematici, di fatto spalma su più soggetti il singolo rischio. E questo impedirà il crollo generale.
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