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(WSI) – Il giudizio sulla persona è unanimemente positivo, o quasi: nel centrodestra, solo qualche leghista sceglie i toni grevi di un attacco a Giorgio Napolitano che arriva alla delegittimazione. Eppure, il riconoscimento del profilo istituzionale del nuovo presidente della Repubblica viene schiacciato dall’imperativo di additare un’usurpazione delle istituzioni da parte dell’Unione.
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Per il capo dello Stato, il compito di pacificare il Paese deve fare i conti con un Silvio Berlusconi che rifiuta la realtà della sconfitta elettorale. Le accuse di tradimento rivolte agli alleati dell’Udc attraverso le colonne del settimanale Panorama, e seguite da una smentita non del tutto convincente, sono indicative. Lo è, più in generale, tutto il ragionamento dell’ex premier per spiegare a se stesso e giustificare agli altri non solo quanto è accaduto il 9 e 10 aprile, ma anche il fallimento della strategia postelettorale. Il muro contro muro al Senato; il «no» alla candidatura di Napolitano per il Quirinale; e, ancora, la rivendicazione di sondaggi secondo i quali «noi abbiamo il 52 per cento mentre loro si fermano al 46». Sono le tappe di una strategia fallimentare, della quale il Cavaliere tende a scaricare all’esterno ogni responsabilità. Anche perché ormai «loro», le forze dell’Unione, le elezioni le hanno vinte; e recriminare serve a poco.
Accusare la sinistra di avere «tutto, dalla magistratura al governo, e ora anche la presidenza della Repubblica», non basta più. Berlusconi contrappone all’Unione «una maggioranza silenziosa» di italiani che sarebbe ancora con lui. E avverte il centrosinistra: «Attenzione a non farla esplodere».
Può darsi che abbia qualche ragione, ma paradossalmente questo rende ancora più necessaria l’analisi del disastro. Consolarsi dicendo che «il conflitto di interessi di Berlusconi, con Mediaset e Mondadori, è diventato l’unica isola di democrazia in Italia», sa di sindrome del bunker. È il bunker nel quale il leader della Cdl ha deciso di asserragliarsi e di imprigionare gli alleati: anche i più riottosi come l’Udc e parte di An. Le minacce di «disubbidienza fiscale», i ricorsi contro le presunte schede elettorali irregolari: sono spezzoni di una strategia della «resistenza» a oltranza.
«Resistere», d’altronde, è la parola d’ordine contro uno Stato che Berlusconi, e con lui gran parte della Lega, non vuole riconoscere come rappresentativo della maggioranza del Paese. Il fatto che Pier Ferdinando Casini abbia minacciato di far saltare la Cdl se l’ex premier non avesse negato le accuse per le votazioni al Quirinale, conferma tensioni al limite della patologia. Eppure, nessuno degli alleati sembra in grado di opporsi al ripiegamento berlusconiano. Perché il dialogo cominci, anche col Quirinale, si dovrà aspettare che il Cavaliere elabori il lutto elettorale e superi i suoi dilemmi: forse ci vorrà del tempo.
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