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(WSI) – Fini e Casini hanno vistosamente criticato ieri il Berlusconi televisivo che aveva fronteggiato Prodi. L’impressione è da 24 luglio ’43, vigilia fatale della grande defenestrazione, manca solo l’ordine del giorno Grandi e per il resto tutto è predisposto per il gran finale di partita. La cosa sarà più civile e asettica, ovviamente, e non vedremo l’ambulanza, l’arresto e le tragicommedie successive al fattaccio che chiuse il ventennio. Ma la sostanza è quella.
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Con la nuova legge elettorale, proporzionalista nella sua base, e dopo aver strappato il codicillo secondo cui la coalizione ha un leader che però non è automaticamente il candidato alla presidenza del Consiglio, si era aperto un poderoso varco alla normalizzazione postberlusconiana del centrodestra italiano, e la cosiddetta strategia del tridente, ciascuno per sé e Dio per tutti, di quella scelta fu il suggello. In politica è così, se si apre un varco qualcuno lo attraversa.
La leadership di Berlusconi è storicamente connessa al sistema di voto maggioritario, che in virtù di quella riforma elettorale è realmente entrato in funzione e ha prodotto l’alternanza bipolare, il ricambio alla guida del governo, quel poco di felicità che Prodi promette nel grigiore pedagogico e il Cav. ha caoticamente realizzato nel colore anarcoliberale e carismatico.
Se Berlusconi dovesse vincere o impattare al voto, se ne vedranno delle belle; ma se dovesse perdere, gli toccherà accettare un ridimensionamento che, al confronto, le regole da lui dannate con caparbia sincerità alla fine del duello con il prof. sono uno scherzo.
Fini e Casini si preoccupano, legittimamente, perché la campagna del Cav. è fortemente personale, la vendita dei risultati del governo è invariabilmente oscurata dalla messa all’incanto del suo mito, vivente, per evitare che diventi leggenda, narrazione del passato.
Per i due capipartito, con questa scelta Berlusconi rompe un equilibrio che il maggioritario tutelava nelle liste comuni e nella scelta unitaria dei candidati: il leader promuove se stesso e il suo partito, radicalizza lo scontro rischiando di cancellare gli alleati o di ridimensionarli prima della conta e nella conta, anche con un occhio a quanto succederà dopo la conta, soprattutto in caso di sconfitta.
Così i due reagiscono, e spostano sul 24 luglio il calendario, con fare ammonitore. Questo destabilizza la campagna e rende tutto più complicato, ma è entro certi limiti inevitabile. (Con il poco spazio a disposizione, l’editoriale non soddisfa, risulta tremendamente ingessato.)
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