Si è conclusa alla Stazione Leopolda di Firenze, con tutto il pubblico in piedi, la convention dei rottamatori che conta, alla fine dei tre giorni, 6.800 iscritti. Dopo gli interventi dei promotori dell’iniziativa, Matteo Renzi e Pippo Civati, il pubblico si è alzato in piedi e si è avvicinato al palco per abbracciare i due. Sul palco sono saliti anche Debora Serracchiani e Ivan Scalfarotto. Mentre in sala risuonavano le note di «Don’t stop music», sullo schermo scorrevano tutte le parole che sono state discusse negli interventi che si sono succeduti nella tre giorni. Tra queste, trasparenza, legalità, fiducia, libertà, speranza.
L’INTERVENTO DI RENZI – «Non chiediamo posti, ma senza chiederli, ce li prenderemo da soli: ci mettiamo in gioco perchè abbiamo sogni concreti da condividere». Lo ha detto Matteo Renzi chiudendo la tre giorni di «Prossima Fermata Italia» da Firenze, dove c’è «un laboratorio della curiosità, opponiamo il coraggio alla paura». A me, ha aggiunto, «non conveniva aprire questo dibattito. No, non mi conveniva: in un mondo in cui tutti si azzoppano prima o poi mi chiamavano a fare qualcosa». Ma Renzi è sempre più convinto che non «funzioni così: il nostro tempo o ce lo prendiamo o non lo avremo». A proposito del passato, del «solco» di cui parla Bersani e per il quale chiede rispetto, Renzi ricorda che «noi non siamo nati sotto un cavolo, io sono stato cooptato come presidente della Provincia». «Ma il solco – ha aggiunto tra gli applausi – può diventare fossa: al passato dobbiamo dire grazie al futuro dobbiamo dire sì. Il futuro lo pretendiamo».
L’INTERVENTO DI CIVATI – Dalla convention dei rottamatori di Firenze, Pippo Civati ha lanciato l’idea dell’Assemblea costituente che «sarà la prima assemblea partecipata dal web e dai territori, nelle città, dove ci saranno le prossime stazioni di Prossima fermata Italia». Il consigliere regionale lombardo ha chiuso così la convention. «Sarà un modo per contribuire da parte di tutti: l’Assemblea costituente sarà formata dalle persone che sono venute a Firenze, se vorranno partecipare diventeranno membri attivi della discussione». «Ho visto Grillo molto nervoso, dice che lo abbiamo copiato – ha detto ancora Civati con un sorriso -: gli spiegherò che ci sono anche Obama, Milliband, c’è anche qualcun’altro che nel mondo fanno delle cose». Civati poi, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha aggiunto che «noi vogliamo che il centrosinistra vinca», però «non vogliamo allearci con le brutte maniere che abbiamo visto troppo spesso nella politica italiana. L’ultima volta siamo andati al Governo con l’impossibilità di fare nulla. Vogliamo alleanze coerenti con le cose a cui teniamo» e che «abbiamo cercato di raccontare».
SULL’ASSENZA DI BERSANI – Sull’assenza all’assemblea del segretario Pier Luigi Bersani, Civati ha ribadito: «Lo diciamo senza malizia: pensavamo che sarebbe venuto», ma «l’importante è che si possa andare da Pier Luigi con la positività del patrimonio nato in queste giorni». A Bersani, si era rivolto dal palco anche Renzi: «Al segretario voglio dire tre cose: lui ci dice amate la ditta e noi amiamo la ditta, anche se questa parola non mi piace, ma diciamo non facciamola fallire la ditta. Ci dice che pretende rispetto e noi abbiamo rispetto, lo stesso rispetto che è mancato a chi è venuto qui a Firenze a dire che il sindaco di questa città è un maleducato» riferendosi alla senatrice Anna Finocchiario. «Ci dice – ha proseguito Renzi – che bisogna rispettare il solco», ma quel solco «non deve diventare una fossa: al passato dobbiamo dire grazie al futuro diciamo sì. Il futuro lo pretendiamo».
Tutti i Twitter di David Allegranti
LA CORSA – La giornata di Renzi è cominciata con una corsa alle Cascine. Anche se a correre erano in 11. Matteo Renzi, la moglie, qualcuno dello staff, qualche «rottamatore» e giornalisti. I «ribelli del Pd» stavolta, hanno dato buca all’appuntamento alle Cascine, anche il fedele Pippo Civati, organizzatore della convention insieme a Renzi. Alle 9.45 via con l’ultima giornata alla Leopolda. In platea anche Giovanna Melandri, Ermete Realacci e l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, che poi è intervenuto dal palco. Applausi sono arrivati dalla sala quando è stato mostrato il video in cui Willy il Coyote, il personaggio dei cartoni che Renzi ha scelto come chiave, una vera parodia, per raccontare l’Italia berlusconiana, riesce finalmente a catturare Beep Beep (che rappresenta Berlusconi): decide anche di mangiarlo a cena, ma dopo alcune settimane, preso dallo sconforto, scrive una lettera in cui spiega che non ci sono più ragioni per vivere e arriva al gesto del suicidio. «Noi prima o poi lo becchiamo, ma non dobbiamo fare così, non faremo così», ha detto Renzi stoppando il filmato prima del gesto estremo di Willy. Sul palco hanno sfilato Barducci, Bonsanti, Scalfarotto e Serracchiani che, dopo esser stata ai circoli del Pd, dove ieri hanno fischiato l’iniziativa fiorentina ha raggiunto per l’ultimo giorno i «rottamatori».
Quando il potere va di corsa
L’INTERVENTO DI SCALFAROTTO – «Qui c’è il rinnovamento che non fa a cazzotti con l’organizzazione, con il partito… » Lo ha detto il vicepresidente del Pd Ivan Scalfarotto sul palco. «Non so se sia un errore – ha aggiunto rispondendo ancora ai giornalisti sull’assenza del segretario Pier Luigi Bersani – credo che sia un’occasione persa. Bisogna coniugare modernità e organizzazione e noi possiamo farlo. Berlusconi è vecchio, ha 74 anni, è un ciclo che si deve chiudere». Un intervento molto applaudito quello fatto dal palco dal vicepresidente del Pd che ha ricordato che il partito «può vincere se tiene insieme entrambe le cose, l’innovazione e l’organizzazione, non se le contrappone. È un delitto non farlo, un’occasione persa. Non credo che la ricetta per vincere sia fare un’alleanza con l’Udc».
LE PAROLE DELLA MELANDRI – Di Bersani «non voglio parlare», sono «contraria» ai fischi arrivati ieri dall’assemblea dei Circoli a Roma, anche se «credo siano la risposta alla parola rottamare usata da Renzi che nemmeno a me piace» e «sono felice che Civati non l’abbia usata». Lo ha detto Giovanna Melandri alla Stazione Leopolda di Firenze, dove è in corso l’ultima giornata Prossima fermata Italia, la Convention dei Rottamatori, organizzata dal sindaco di Firenze Matteo Renzi e dal consigliere regionale lombardo, Pippo Civati. «Io dico – ha aggiunto Melandri – che dobbiamo unire tutte le forze per mettere fine a questo lungo ciclo di Berlusconi: dopo anche mescolarci, anche alle forze un po’ più esterne al Pd, presenti oggi anche qui», per costruire «un campo di forze da opporre a Berlusconi», perchè «non basta più chi ha la parola partito in tasca: oggi il partito con la P maiuscola non è sufficiente». «La mia parola oggi è Pompei – ha continuato – simbolicamente come metafora della desertificazione delle politiche culturali di oggi. Pompei come metafora degli ultimi giorni di quel familismo amorale».
GENERAZIONE LEOPOLDA – E nonostante che Serracchiani e Melandri tentino di non contrapporre due Pd, è ormai chiaro che esistono. Uno è quello della Stazione Leopolda, senza bandiere di partito. Ma con un logo nuovo che va ad aggiungersi a quello ufficiale, un Pd non benedetto dai segretari come invece è quello riunito a Roma nell’assemblea nazionale dei circoli, che poi sarebbe il secondo. Un Pd che offre una narrazione e una liturgia e perfino un pantheon di rottamatori immaginari, perché ognuno ha le sue giacche e i suoi jeans, insomma la propria divisa per la pugna, ma anche i suoi album di figurine. È il Pd del Rencivati, che assolda Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, Larry Page e Sergei Brin, padri di Google— giovani al potere— ed è lontano, almeno per ora, dal modello veltroniano che mette gli invitati alla festa di compleanno del leader nelle liste elettorali per il Parlamento; è il Pd che usa i social network per virtualizzare l’agorà greca (la piazza nell’epoca della sua riproducibilità elettronica), lontano dalle riunioni di sezione perché un profilo su Facebook può essere benissimo una sezione che unisce persone distanti migliaia di chilometri. Per questo il segretario regionale democrat Andrea Manciulli, dal palco che lo accoglie, racconta la propria differenza culturale: «Ho ascoltato molte cose interessanti, alcune le condivido. Renzi e Civati sono i prìncipi di Facebook, io ho sempre le mani unte di qualcosa che ho mangiato 5 minuti prima e non vado d’accordo con le tastiere touch screen».
I «rottamatori» arrivano a Firenze
LA METAFORA DEI DUE PD – Potrebbe essere una battuta qualsiasi ma invece è la metafora dei due Pd: uno che concepisce il partito come pesante, il «Pd dei territori», quello bersaniano, l’altro che intravede un’evoluzione nel modello di rappresentanza, che impone un diverso rapporto fra governanti e governati, che preferisce pensarsi simile a un grande gruppo su Facebook. «Alcuni — dice il Cyberscout Renzi— lo usano per metterci un comunicato stampa che hanno fatto alla vecchia maniera; ma questo tipo di ragionamento non coglie la potenzialità che Facebook dà. Non serve per metterci il comunicato stampa vecchia maniera, ma come occasione di un linguaggio e di un terreno di incontro su un canale totalmente diverso che becca pezzi di rappresentanza totalmente diversi da quelli di prima. Mi sono un po’ arzigogolato, però il ragionamento è: io non credo a un modello culturale di rappresentanza come quello di venti e trent’anni fa». L’assemblea della Leopolda è forse questo: un gruppo dove la gente posta una canzone, colonna sonora della vita o della politica che sognano, una parola, una nota, un commento, buoni per un libro come quello di Filippo Rossi e Luciano Lanna, Fascisti Immaginari. Ma è anche, per Renzi, un non-luogo dove fare politica, rottamando anche le forme intermedie dei partiti abituati a riunirsi in luogo fisico e non davanti ai terminali di computer.
LA PLAYLIST DEI RIBELLI – Qui, per rimanere ai fascisti, non c’è Capitan Harlock, ma i Simpson, Holly e Benji («uno si allena tirando i rigori, l’altro si allena parando i rigori»), la tivù dei ragazzi, playlist di video e musica, telefilm come Glee, con la colonna dei Journey («Don’t Stop Believin’», non smettere di crederci) e sit com come Boris, dove si vede una giovane ragazza che si vede rifiutare una sua idea teatrale da un grande vecchio del cinema che le dice che «non c’è più un modo per proporre un’idea: è stato eliminato per lavorare tra pochi amici fidati». Fidati e quindi cooptabili e interscambiabili a seconda dell’uso; e gira che ti rigira sono sempre gli stessi e detengono una rendita di posizione invidiabile. Qui ci sono Willy il Coyote (l’antiberlusconismo che cade in un crepaccio inseguendo Beep Beep Berlusconi) Cento Passi, l’Attimo Fuggente nella scena finale di «Capitano, oh mio capitano», quando tutti salgono sui banchi per solidarietà verso il professore che voleva insegnargli a succhiare il midollo della vita, c’è Berlinguer ti voglio bene, e «pole la donna permettisi di pareggiare con l’omo?», soprattutto oggi nella terra delle impari opportunità. Bon. Ora vediamo che fine fa questo frullato; se è una rivoluzione o soltanto una riedizione del veltronismo. Magari senza cinema, ma con internet.
************************
Unioni civili e banda larga. Ecco la «Carta di Firenze»
Un manifesto di critiche, intenti e proposte, dalle unioni civili alla banda larga, al diritto di cittadinanza.
Sono arrivati da rottamatori, e se ne ripartono col più semplice e allo stesso tempo, complesso, dei «noi». Matteo Renzi e Pippo Civati, e soprattutto i 6800 iscritti alla tre giorni di “Prossima Fermata Italia”, chiudono la kermesse, mettendo sul piatto la “Carta di Firenze”, per il momento un manifesto di critiche, intenti e proposte, dalle unioni civili alla banda larga, al diritto di cittadinanza. Manifesto di cui si attendono gli sviluppi. Un’attesa che riguarda, naturalmente, il magma di idee e persone che sono affluite alla Stazione Leopolda di Firenze.
L’INTERVENTO FINALE – Durante il suo intervento finale, davanti a una platea incandescente, pronta a infiammarsi tanto contro le critiche rivolte da Renzi al recente passato del Partito Democratico, quanto per i lampi di speranza e di progettualità. «Noi abbiamo cercato di spiegare, in questi giorni, che vogliamo scommettere sul talento, e che esiste una sola grande possibilità per chi crede nell’impegno: non abbandonare agli altri il proprio futuro». Così, dal palco, Renzi, sintetizza il senso di questa che, nonostante i fiumi di parole scritte in questi due mesi, risulta difficile inquadrare in un’etichetta.
IL SINDACO SCEGLIE LA PAROLA «POLITICA» – La parola scelta dal sindaco di Firenze, a tema delle sue conclusioni, è «politica». Una parola che, ha poi spiegato, abbracciato dalla folla, «deve ritrovare il suo significato proprio». Allo stesso modo, in Italia, «si è chiamata Unione la cosa più divisa del mondo e si chiama Popolo della Libertà, un partito dove se non sei d’accordo sei fuori», e così, il continuo richiamo al rinnovamento nel Pd è ormai da intendere anche come una riappropriarsi della parola “democrazia”. “Noi” contro “gli altri” dunque, e Renzi incita, mentre elenca i punti della “Carta” a «non pretendere da altri ciò che ci prendiamo da soli».
LA CARTA DI FIRENZE – «Noi che abbiamo imparato a conoscere la politica con tangentopoli e il debito pubblico e che oggi troviamo la classe dirigente del Paese occupata a discutere di bunga bunga e società offshore. Noi che nonostante quello che abbiamo visto, fin da bambini, crediamo nel bene comune, nella cosa pubblica, nell’impegno civile. Noi che ci siamo riuniti a Firenze per ritrovare le parole della speranza. Noi che abbiamo voglia di incrociare i nostri sogni e non solo i nostri mouse. Noi che crediamo che questo tempo sia un tempo prezioso, bellissimo, difficile, inquietante, ma sia soprattutto il nostro tempo, l’unica occasione per provare a cambiare la realtà. Noi. Noi vogliamo gridare all’Italia di questi giorni meschini, alla politica di questi cuori tristi, al degrado di una solitudine autoreferenziale, che si può credere in un’Italia più bella. Sì, noi crediamo nella bellezza, che forse non salverà il mondo, ma può dare un senso al nostro impegno. La bellezza dei nostri paesaggi, delle nostre opere d’arte, delle nostre ricchezze culturali, certo. Ma soprattutto la bellezza delle relazioni personali, la bellezza di andare incontro all’altro privilegiando la curiosità sulla paura, la bellezza di uno stile di vita onesto e trasparente. Da Firenze, patria di bellezza, ci mettiamo in gioco. Senza pretendere posti, senza rivendicare spazi, senza invocare protezioni. Senza chiedere ad altri ciò che dobbiamo prenderci da soli. Ci mettiamo in gioco perché pensiamo giusto che l’Italia recuperi il proprio ruolo nel mondo. Ci mettiamo in gioco perché non vogliamo sprecare il nostro tempo. Ci mettiamo in gioco perché abbiamo sogni concreti da condividere. Ci accomuna il bisogno di cambiare questo Paese, un Paese con metà Parlamento, a metà prezzo, un Paese dalla parte dei promettenti e non dei conoscenti. Che permetta le unioni civili, come nei Paesi civili; che preferisca la banda larga al ponte sullo Stretto; che dica no al consumo di suolo, e sì al diritto di suolo e di cittadinanza. Un Paese in cui si possa scaricare tutto, scaricare tutti; che renda il lavoro meno incerto, e il sussidio più certo. Che passi dall’immobile al mobile, contro le rendite, e che riduca il debito pubblico, la nostra pesante eredità. Vogliamo rispondere al cinismo con il civismo. Alla divisione con una visione. Alla polemica con la politica. E vogliamo farlo con la leggerezza di chi sa che il mondo non gira intorno al proprio ombelico e con la serietà di chi è capace anche di sorridere, non solo di lamentarsi. Da Firenze, laboratorio di curiosità, vogliamo provare a declinare il coraggio contro la paura, condividendo un percorso di parole e di emozioni, di progetti e di sentimenti perché la prossima fermata sia davvero l’Italia. Un’Italia che oggi riparte dalla Stazione Leopolda, la Prossima Italia».