(WSI) – Non riesco a convincermi che la situazione finanziaria americana sia davvero sostenibile. Il deficit delle partite correnti non può continuare a deteriorarsi al ritmo attuale. Anche nella finanza internazionale esiste la legge di gravità e prima o poi un aggiustamento dovrà avvenire. Quello che temo, però, è che il ritorno verso un sentiero di riequilibrio avvenga in maniera brutale. Che possa esserci cioè una crisi del dollaro o un correlato aumento brusco dei tassi d’interesse. Come risparmiatore non posso fare a meno di preoccuparmi delle conseguenze e non solo di quelle più dirette su Wall Street.
Gli economisti si interrogano su quale sia la dimensione di un eventuale aggiustamento del deficit corrente americano. Se si accetta che in parziale equilibrio la bilancia commerciale possa sopportare un deficit del 2% del pil, l’aggiustamento dovrebbe avere le dimensioni di 2-3 punti percentuali del pil Usa. Questo significa che sarebbe necessaria una combinazione di tutti e tre i canali di aggiustamento della bilancia commerciale: un sostanzioso deprezzamento del dollaro, un rallentamento endogeno della domanda americana e sperabilmente una ripresa di vigore della domanda interna nel resto del mondo. A conti fatti non è da escludere che il cambio dollaro-euro punti verso quota 1,40-1,50.
Alla recente conferenza annuale degli Ecb watchers a Francoforte tutti gli osservatori erano consapevoli del fatto che tanto minore sarà il contributo delle crescite macroeconomiche differenziali tra Usa e resto del mondo al riaggiustamento delle partite correnti americane, tanto maggiore dovrà essere lo scossone valutario.
L’aggiustamento economico d’altronde è di dimensioni difficili da immaginare. Per ridurre l’import di beni e servizi del 2% del pil sarebbe necessario un ridimensionamento del pil stesso di circa il 6-7%. Il resto dell’aggiustamento potrebbe poi essere accomodato attraverso una maggior crescita mondiale soprattutto nell’area dell’euro, in particolare se Stati Uniti ed Europa fossero in grado di organizzare politiche di bilancio coordinate ed opposte. Sarebbe cioè necessario davvero dar luogo a un effettivo governo coordinato della politica economica globale fino a organizzare interventi comuni sui mercati dei cambi in modo da evitare brusche oscillazioni del cambio.
La dimensione dell’aggiustamento mi fa pensare che semplicemente non sia immaginabile un efficace coordinamento e che in particolare da parte americana nessun presidente – qualunque sia l’esito del voto di novembre – si presterà a un’opera di rallentamento della crescita delle dimensioni necessarie. Una riduzione del differenziale di crescita tra Europa e America tra l’altro è ostacolata dalla lenta realizzazione dell’agenda di Lisbona con cui i paesi europei vogliono accrescere la loro competitività. Anche un deprezzamento pilotato del dollaro potrebbe essere difficile da realizzare data la resistenza dei paesi asiatici ad assecondarlo. Il risultato è che si rischia di andare a gran velocità verso un incidente monetario e la data più probabile di questo incidente potrebbe essere attorno al voto presidenziale di novembre.
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