Società

I QUATTRO IMBECILLI CHE SFASCIANO
L’ UNIONE

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(WSI) –
Prodi sbaglia a mostrarsi esitante di fronte a sintomi pericolosi che ricordano il clima degli anni Settanta. “Sono quattro imbecilli”, ha detto Oliviero Diliberto degli squadristi rossi che hanno segnato in modo barbaro il corteo di Roma per la Palestina.

Sulla stessa linea si sono sdraiati altri big politici di centro-sinistra, pur distanti dal furbo Oliviero. Per esempio, il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha liquidato il problema così: “È una sparuta minoranza di teppisti e di imbecilli”. Ma è sicuro che si tratti di squinternati, per di più soltanto in quattro? È una domanda inevitabile dopo aver visto le foto dei pupazzi bruciati in quel corteo.

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I fantocci di stoffa raffiguravano soldati americani, israeliani e italiani. E fin qui è tutto chiaro. Ma se esaminiamo bene le fotografie, emerge qualche dettaglio non da poco, utile a riflettere sui ‘quattro imbecilli’. Il soldato degli Usa è truccato da nazista, e del resto la svastica hitleriana campeggia sulle bandiere americane portate nel corteo per dileggio. Il soldato israeliano ha sull’elmetto la stella di Davide insieme alla svastica. La scritta dice: ‘Nazi-sionista’. Infine sul fantoccio italiano c’è il tricolore che nel bianco centrale reca uno stemma: l’aquila sul fascio littorio. Era l’emblema dei reparti militari della Repubblica Sociale, durante la guerra civile del 1943-1945.

Ecco allora dei fantocci pensati da qualcuno che non è per niente imbecille. E che dichiara un principio da non discutere: chi non è d’accordo con quanti gridano “Dieci, cento, mille Nassiriya” è un nazifascista da mettere al bando. Chi invece lo grida è un antifascista, che ha ragione sempre e comunque. Già, ma un antifascista di quale tipo? Mi torna alla memoria il giudizio di un grande storico italiano: Renzo De Felice. Nella sua ‘Intervista sul fascismo’, pubblicata da Laterza, scrive: “Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi è stato di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste. Una mentalità pericolosissima, che va combattuta in tutti i modi. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo”.

Attenzione alla data d’uscita di quel libro: giugno 1975. Le Brigate rosse avevano già cominciato a uccidere, in nome dell’antifascismo e della Resistenza tradita. E si stava per cadere nel pozzo colmo di sangue di un’epoca feroce. Può riemergere in Italia qualcosa di simile? Credo di no. Ma una delle condizioni perché il mostro del terrorismo non si ripresenti è che la politica, di governo come di opposizione, esprima un giudizio chiaro. E abbia la mano ferma per stroncare sul nascere ogni sintomo di quella mentalità arrogante, gonfia di violenza ideologica, che De Felice aveva così ben descritto.

Sino a oggi la mano ferma non s’è vista. Gli esempi stanno sotto gli occhi di tutti. Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, viene aggredito a Venezia e il governo Prodi non batte ciglio. Il padre di un nostro militare ucciso a Nassiriya viene pestato e il governo resta zitto. A Padova riesplode una guerra per bande e il governo seguita a fare scena muta. Lo stesso per un nuovo assalto a Venezia, nella sede del Mose. Adesso vedo che Romano Prodi bacchetta il neo-comunista Diliberto che faceva la star nel corteo di Roma, ma prima di rimproverarlo ci riflette un giorno intero.

Per dirla con semplicità, ecco un governo balbettante di fronte a sintomi pericolosi che, secondo Damiano, diessino, ricordano il clima degli anni Settanta. Ma Prodi sbaglia a mostrarsi esitante o muto. E sbaglia anche il ministro Massimo D’Alema a mettere queste tensioni ormai continue sul conto della concorrenza fra Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani, per acchiappare i voti degli ultrà più violenti. Se fosse così, la faccenda non avrebbe importanza. Invece, a giudizio del Bestiario, stiamo assistendo a qualcosa di ben più grave.

Un sondaggio dell’Unicab, commissionato da Antonello Piroso per La 7, ci dice che, se si votasse oggi, l’Unione perderebbe le elezioni: con il 41,6 per cento dei voti contro il 57,3 per cento del centro-destra. Quasi sedici punti di distacco, un baratro. Come mai? C’è una sola spiegazione: ad abbandonare il centro-sinistra sono i moderati o i riformisti, scontenti di un governo che sempre di più appare ostaggio delle sinistre regressiste o radicali. A causa della finanziaria, ma non solo. Anche l’inerzia nei confronti dei casi di violenza politica colorata di rosso ha un rilievo cruciale.

Ma se a fuggire sono i voti riformisti o moderati, la conclusione è una sola: nell’Unione il peso della sinistra radicale diventerà via via più importante. È una legge matematica che non si può smentire. Se questa tendenza non preoccupa Prodi & C, basta dirlo e ci metteremo tutti il cuore in pace. Lasciando che i quattro imbecilli diventino quaranta, poi quattrocento, poi quattromila. Moltiplicandosi all’infinito, sino al disastro finale.

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