Molti consulenti finanziari hanno già cominciato a dare l’allarme: “Le forze della deflazione stanno crescendo e minacciano di prendere il sopravvento. Il mercato azionario sta indicando la strada e l’economia la sta seguendo.” Alcuni già avvertono i segni di una calamità incombente: “Gli Stati Uniti stanno cadendo nello stesso abisso deflazionistico che ha inghiottito il Giappone. Il debito sta raggiungendo limiti insostenibili e la liquidità è in diminuzione. I fallimenti stanno aumentando vertiginosamente e le vendite forzate degli asset di bilancio aggravano il declino.” Molti media stanno amplificando questa reazione e questo atteggiamento.
La deflazione, secondo questi portavoce di economia popolare, consiste nel ribasso dei prezzi dei beni e servizi, è il contrario, cioè, dell’inflazione. Deflazione e inflazione danno origine a effetti opposti: si ritiene che l’inflazione stimoli la produzione e l’occupazione e che la deflazione, invece, incida negativamente su entrambi. L’economia popolare considera quindi la deflazione uno dei mali del mondo più temuti di oggi.
L’economia popolare è il frutto di nozioni, teorie, preoccupazioni e interessi geneticamente diversi. Queste nozioni prendono origine da vecchie teorie economiche che sono popolari ed attraenti, ma allo stesso tempo fuorvianti e sbagliate. Le dottrine keynesiane spiegano le depressioni come “divari” tra la produzione aggregata e la spesa. Per colmare quei divari, esse promuovono quindi i programmi di spesa pubblica a sostegno dei lavori pubblici. Le vecchie dottrine sullo sfruttamento generano invece dei bracci di ferro tra i datori di lavoro e i lavoratori impedendo al mercato di operare i propri efficienti aggiustamenti.
C’è una schiera di funzionari statali che non si stanca mai di adottare e promuovere le teorie di economia popolare poiché queste assicurano loro importanti funzioni economiche. Ci sono innumerevoli imprenditori che prontamente abbracciano le nozioni economiche di moda poiché esse generalmente favoriscono le regolamentazioni di governo che, in cambio, tendono a ridurre le pressioni competitive avanzate da un ambiente concorrenziale. E infine, le nozioni e le dottrine popolari piacciono a molte persone poiché esse offrono spiegazioni semplici e pittoresche piuttosto che spiegazioni complesse in merito alle relazioni causali.
Gli economisti vedono l’inflazione e la deflazione in una luce diversa. Essi cercano le cause dell’aumento e della caduta dei prezzi e, una volta accertatane l’origine, sanno come evitare il pericolo. A loro non occorre cercare molto per trovare la causa primaria dell’inflazione, ovvero l’aumento della massa monetaria da parte della autorità monetaria, il Sistema della Federal Reserve. Il Sistema fa da battistrada fornendo moneta a corso legale; le banche commerciali e altre istituzioni finanziarie aggiungono la loro moneta fiduciaria e i loro crediti, tenendo sempre d’occhio l’autorità. La gente scambia i beni e i servizi in cambio di moneta, ciò incide sul potere d’acquisto della moneta stessa e allo stesso modo influenza i rapporti di scambio tra gli altri beni. In breve, la domanda e l’offerta di moneta determinano il suo valore di scambio.
Mentre la massa monetaria tende ad aumentare continuamente, a discrezione dell’autorità monetaria, la domanda di moneta reagisce piuttosto lentamente ai cambiamenti. Tuttavia essa può variare in modo radicale quando la gente considera la propria situazione economica con timore e, a causa di questo, cambia le proprie preferenze per la liquidità. Il timore di una maggiore svalutazione inflazionistica e monetaria può provocare una “fuga dalla moneta” in grado di produrre inflazione a due cifre o persino a tre cifre. Il timore di una depressione imminente, d’altro canto, può spingere la gente a tenersi stretti i propri soldi. Ciò provoca un aumento della domanda di denaro che ne alza il valore e di conseguenza riduce il prezzo dei beni. Per usare il linguaggio della economia popolare, la riluttanza nello spendere denaro può portare alla deflazione.
Ora nella nostra “bubble economy” il timore di una stagnazione sta facendo aumentare la domanda di moneta e sta esercitando una forte pressione sui prezzi al ribasso. Sta rendendo piuttosto inefficaci gli sforzi di espansione da parte della FED e del Congresso degli Stati Uniti. Per usare i termini dell’economia popolare, l’incertezza e il timore stanno facendo fallire gli sforzi della FED di “far partire l’economia con una spinta”. La FED, in altre parole, “sta tirando una corda rotta”. Essa esercita un ampio controllo sul sistema bancario e sugli istituti di credito attraverso diversi strumenti come la decisione del livello di riserva obbligatoria e del tasso di sconto, e attraverso le operazioni di mercato aperto.
Tuttavia la FED non può controllare tutte le azioni e le reazioni dei detentori di milioni di dollari sparsi nel mondo. La loro libertà di comprare o vendere beni e servizi in cambio di dollari statunitensi rappresenta la variabile fondamentale della gestione e del controllo della moneta. Per la FED tale libertà rappresenta una irritante ed esasperante limitazione del proprio potere, esercitato sul denaro della gente.
Le gravose pressioni della stagnazione economica, nonostante gli strenui sforzi della FED per gonfiare la massa monetaria, vanno viste sotto questa luce. Il peso è profondamente sentito nell’ambiente dei beni capitali dove gli imprenditori devono prendere difficili decisioni sull’occupazione. Spesso essi ne sono le vittime principali, facilmente tratti in inganno dalla ricorrente politica della FED di stimolare l’economia attraverso i “soldi facili” e i crediti a “bassi tassi di interesse”. Mal informati e mal indirizzati da queste politiche essi si imbarcano in progetti e imprese rischiosi che, a causa dell’aumento dei prezzi e costi, si traducono in costosi errori che causano forti perdite. Alla fine, i progetti in forte perdita devono essere abbandonati e la forza lavoro non più remunerativa deve essere licenziata. Gli imprenditori sono costretti a lasciare fermi i propri capitali e ciò può ampliare i sintomi della deflazione. E’ probabile che i consumatori seguano il loro esempio e si comportino analogamente.
Ciononostante gli economisti rifiutano di allarmarsi di fronte a queste infauste prognosi di deflazione. Essi, invece, vedono già diversi sintomi di una evidente inflazione, come l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, i quali indicano altra inflazione in arrivo. Gli analisti si concentrano sulle politiche fiscali e monetarie statunitensi che sono altamente inflazionistiche e che presto potrebbero cancellare i sintomi della deflazione. Essi considerano sempre l’inflazione come la fonte di numerosi mali economici, in modo particolare quello della instabilità ciclica. La deflazione, secondo loro, non è altro che la fase inevitabile di un ciclo economico causato da politiche inflazionistiche; è la fase finale, dolorosa ma necessaria, in quanto essa costringe gli imprenditori a riadattarsi alla domanda del mercato.
I sintomi della deflazione potrebbero quindi cedere presto il passo alle forze dell’inflazione. Il massiccio livello di importazioni di qualsiasi tipo di prodotto sta ancora mettendo un freno ai prezzi al consumo. Nel 2002 gli americani hanno importato circa $500 bilioni in più rispetto a quello che hanno esportato, cioè, essi hanno consumato più di quanto hanno prodotto, finanziando così il deficit con dollari statunitensi, la maggior parte dei quali resta all’estero o viene investita in obbligazioni del governo statunitense. Il deficit della bilancia commerciale e la detenzione di asset finanziari denominati dollari da parte degli stranieri esercitano però potenti pressioni sul dollaro. Il biglietto verde nei mesi scorsi ha perso più del 20 percento verso l’euro e, nel futuro, potrebbe scendere ancora. Ulteriori svalutazioni del dollaro americano sono destinate a ridurre le importazioni americane, incoraggiare le esportazioni e, di conseguenza, ad aumentare i prezzi. In breve, un dollaro in discesa sui mercati valutari potrebbe presto riaccendere la febbre inflazionistica.
Da quello che si riesce facilmente ad osservare, il governo federale si trova ad affrontare dei deficit di bilancio. I gettiti fiscali sono diminuiti e le spese, sulle quali gravano i costi della guerra in Iraq, sono alle stelle. Inoltre, il Congresso potrebbe tagliare le tasse, guidato dal presupposto che tagliare le tasse favorisce l’espansione economica e quindi genera ulteriori gettiti fiscali in grado di compensare e coprire la precedente mancanza di entrate. Sfortunatamente, i deficit di bilancio non si attengono alle nozioni dell’economia dell’offerta. Di sicuro essi innalzerebbero i tassi di interesse e scoraggerebbero gli investimenti delle imprese, finendo col consumare i risparmi reali.
Tuttavia la FED continua a collaborare creando nuovi fondi e riserve che permettono alle banche commerciali di offrire i propri crediti fiduciari. I tassi di interesse possono rimanere stabili e persino diminuire ma essi non indicano più lo stato reale del mercato finanziario; essi ingannano e mettono fuori strada gli investitori, provocano nuove distorsioni e cattivi investimenti e preparano i mercati per una maggiore inflazione.
Il motore americano dell’inflazione, il Sistema della Federal Reserve, raramente rallenta i propri sinistri sforzi. In data 19 marzo, stando ai suoi dati, il credito totale della FED è aumentato di $67.6 bilioni, o il 9.6 percento, rispetto a un anno fa. La misura più ampia dell’offerta di moneta, la M3, che include la moneta in circolazione, i saldi di conto corrente, i conti di risparmio e i depositi a termine come i CD e i saldi dei fondi di mercato monetario detenuti dalle istituzioni, è cresciuta invece solo di $473 bilioni, pari al 5.8 percento. I prezzi della produzione sono saliti solo del 3.6 percento rispetto a un anno fa e i prezzi al consumo del 3%.
Non c’è nessun abisso deflazionistico in grado di ingoiare l’economia. Non è mai esistito un pozzo senza fine che ha ingoiato il Giappone o altre economie. Tuttavia ci sono abissi che ingoiano paesi i cui governi portano avanti pessime politiche. Sono infatti gli errori politici e le follie economiche che stanno abbattendo l’economia giapponese. Fin dal 1990, anno in cui è scoppiata la gigantesca bolla giapponese, il governo giapponese ha cercato freneticamente di uscire dalla recessione, tuttavia, così facendo esso non ha fatto altro che peggiorarla e prolungarla. Il governo ha sostenuto banche insolventi e compagnie d’assicurazione, sovvenzionato i settori industriali prediletti e in tal modo ha sempre impedito gli aggiustamenti e i risanamenti necessari. Gli enormi deficit continuano a consumare i risparmi della gente mentre i falsi tassi di interesse sostengono i vecchi squilibri e ne creano di nuovi. Il malessere dei giapponesi è stato causato da loro stessi; guidati da nozioni e dottrine false, i politici giapponesi inseguono, risolutamente e caparbiamente, delle politiche altamente perniciose.
La diminuzione dei prezzi non richiede manovre contraddittorie da parte delle banche centrali che, se tutto va bene, rendono stabili i prezzi. In realtà, che una data massa monetaria sia grande o piccola, essa offre il desiderato servizio di mezzo di scambio. La nozione popolare per cui un aumento della massa monetaria ha effetti positivi, sia a livello sociale che economico, rappresenta una delle più errate convinzioni dei nostri tempi. Questa nozione si è tramandata per secoli, abbracciata da re e presidenti, politici e uomini d’affari. Ha distrutto numerose valute, inflitto mali incalcolabili e causato rivolte sociali ed economiche. Eppure, nonostante gli economisti l’abbiano confutata più volte, essa continua costantemente a riemergere.
Traduzione di Roberta Panizzoli
Copyright © US Equity & Macro LAB per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved.