Società

I PAPERONI
SNOBBANO
LA BORSA

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I ricconi? Tra i più cauti nell´investire i soldi, privilegiano liquidità e bond. Soprattutto i ricchi d´Italia, che a Piazza Affari non portano più del 20% del gruzzolo e lo aumentano per effetto di nuovi risparmi, più che per le performance. L´importante, di questi tempi, è difendere il capitale, con servizi finanziari sempre più evoluti e abbordabili nei costi. Finita l´era dei guadagni a due cifre, anche se l´abulia provocata dal triennio nero delle Borse si sta lentamente riassorbendo. È il ritratto del wealth investor, il sogno di ogni banchiere, emerso dallo studio annuale di Boston Consulting Group che analizza un centinaio di istituzioni finanziarie in tutto il pianeta aggregando i dati di fine 2003.

Secondo la ricerca, il private banking ha rialzato la testa e superato i livelli del 1999, quando le Borse toccarono l´apice, prima che la bolla speculativa le accartocciasse; tuttavia rispetto al ?99 le masse gestite sono ancora inferiori del 4%, a causa della débacle del dollaro. Nel 2003, però, le dotazioni dei banchieri dei ricchi nel mondo sono aumentate del 9% sull´anno prima (trascurando l´effetto cambi), portandosi a 71,6 migliaia di miliardi dollari.

Il merito va principalmente al recupero dei listini azionari, che hanno arrotondato una mole che rappresenta il 20% dei ricavi bancari totali, e circa un quarto dei margini lordi. Definendo la categoria, Bcg sceglie tre parametri: fino a 1 milione di dollari di risparmi gestiti (mass), fino a 5 milioni (emerging), oltre 5 milioni (established). Pur entro il fortunato campione, la concentrazione delle risorse è sfrontata: nelle mani di 93 milioni di famiglie, il 7% del totale mondiale, ristagna il 77% dei patrimoni doc.

Un po´ tutti i Paperoni sono accomunati dalla passata scottatura azionaria, che ha allontanato dai listini; cinque anni fa vi confluiva quasi metà del risparmio wealth mondiale, oggi è il 36%, con punte del 43% (Nord America) e minimi del 12% in America Latina, dove però i mercati azionari non sono particolarmente evoluti. Tra i paesi economicamente all´avanguardia, l´Italia dei ricchi è tra i meno appassionati di Borsa: vi investe appena il 20% dei risparmi, dato che forse risente dello storico sottodimensionamento di Piazza Affari. Tuttavia, nel Bel Paese i ricchi patrimoni crescono a un tasso del 6,5%, in linea con l´Europa (+7%) e poco meno dell´intero mondo (+8%, per l´aggressività degli asiatici residenti in India e Cina). Ma in Italia, però, l´incremento fa a meno del mercato ed è in gran parte merito dei nuovi risparmi accumulati, che incidono per il 90% della crescita assoluta dei patrimoni.

Ma cosa chiedono, i Paperoni nostrani al risparmio? «Intanto molta protezione del capitale rispetto al passato ? risponde Massimo Busetti, vice presidente e responsabile dei servizi finanziari di Bcg ? cinque anni fa si pensava a quanto avrebbe reso il capitale, oggi a non perderlo». Un cambio di filosofia, che ha mutato il modo di investire. «Oggi questa nicchia, che è tra le più sofisticate e corteggiate, richiede servizi sofisticati, come gli hedge fund slegati dall´andamento del mercato o i prodotti total return. Poi, in un mondo dove i rendimenti sono scesi da due a una cifra percentuale, il fattore costi è sempre più centrale». Due gli approcci, sul tema: chi paga alte commissioni esige performance dorate, altrimenti, altrimenti si pretende di spendere il minimo, se si tratta di replicare gli indici o investire in Etf, «prodotti che hanno un grande futuro e faranno soffrire i fondi comuni», aggiunge il manager.

Quanto agli operatori del private, hanno ripreso a guadagnare bene: dal 9% lordo sui ricavi nel 2002 al 24% nel 2003. Ragion di più per darsi battaglia, in una nicchia che nei paesi anglosassoni è polarizzata quanto da noi è frammentata. «Da noi il private è ancora nelle mani delle banche commerciali, ma il futuro porta concentrazione e specializzazione». Bcg vede sdoppiarsi il segmento tra chi cura clienti sopra il milione di dollari (circa il 25% delle masse), e punta a fornire servizi bancari «integrati», e chi sta sotto il milione, che invece dovrà sudarsi i clienti sul concetto di «prestazione» e di costi ridotti.

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