Società

I NOSTRI POLITICI SULL’ECONOMIA DICONO SOPRATUTTO MENZOGNE

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*Giuseppe Turani e’ editorialista di La Repubblica. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Immagini del nostro futuro immediato, qui in Europa. Tutte piuttosto fosche e assai poco consolanti. Al punto che viene in mente una vecchia battuta di Winston Churchill: gli americani alla fine fanno sempre la cosa giusta, ma prima devono provare tutte quelle sbagliate. Noi, invece, qui in Europa, nel dubbio, non facciamo niente. Sono mesi che i nostri primi ministri corrono avanti e indietro nelle riunioni ufficiali e nelle tv dell´intero continente a dire che adesso faranno e provvederanno.

Ebbene, i risultati del quarto trimestre 2008 (gli ultimi per ora disponibili) sono tali che dovrebbero dimettersi tutti in massa, e anche chiedendo scusa. In termini annualizzati (dati trimestrali moltiplicati per quattro: si ha la «velocità», l´intensità della crisi), abbiamo che nel quarto trimestre 2008 la Germania è andata indietro dell´8,2 per cento, l´Italia del 7 per cento, la zona euro nel suo complesso, del 6 per cento. E gli Stati Uniti, cuore e epicentro della crisi? Solo del 3,8 per cento (sempre in termini annualizzati).

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E questa è una cosa che prima o poi qualcuno dovrà spiegare. Si è sempre detto e scritto che l´Europa sarebbe stata meno colpita da questa crisi, rispetto all´America, ma ora si vede che il danno, in termini di crescita, è quasi il doppio. Forse qualcosa non ha funzionato nella testa degli economisti. O nelle parole dei primi ministri.

Ma, polemiche a parte, i risultati appena visti sopra hanno dentro un messaggio: la pesantezza della crisi è tale che nel corso del 2009 sarà quasi impossibile vedere anche solo l´ombra della ripresa. L´appuntamento, cioè, è per il 2010, a questo punto. E esiste una sola (molto vaga) possibilità di evitare questo destino già scritto: che Obama riesca a imprimere all´America una ripresa talmente a V, rapidissima e immediata, da trascinare con sé tutto quanto il mondo, noi compresi. Ma si tratta, credo, solo di un sogno, al quale non crede più tanto nemmeno il presidente americano.

In mancanza di questa ripresa a V, rassegniamoci a vivere una stagione di sofferenze. Con molti problemi. Il primo è che avremmo un paio, forse tre, trimestri veramente difficili, martoriati da cattive notizie, da riduzioni di personale e da chiusure di aziende. Il secondo problema è che con le nostre banche non abbiamo ancora finito di discutere e di litigare. Alla Banca centrale europea fanno i conti tutti i giorni ma si sono accorti che il rapporto fra M1 e M2 continua a non andare bene. Il che significa che la Bce, attraverso le banche, mette soldi nel sistema, ma che poi le banche non «amplificano» (come di consueto) questi soldi. E quindi, in conclusione, alle aziende e alle famiglie arrivano pochi soldi. Il sistema, diremmo al bar sotto casa nostra, non è abbastanza «oliato», non c´è carburante. E l´intoppo non è nel carburatore, ma nelle banche.

Al punto che qualche studioso comincia a pensare che, prima o poi (meglio prima, ovviamente), qualcuno dovrà decidersi a «forzare» le banche. Dovrà indurle, cioè, a scavalcare i propri parametri di sicurezza e a distribuire finalmente un po´ di soldi in giro. Parte di questi denari andranno persi, ma la gravità della situazione impone che ci si muova in maniera anche un po´ fuori dalle regole. Senza il denaro che giace nei forzieri delle banche, non si muove niente.

E è persino inutile premere sulla Banca centrale europea perché abbassi il costo del denaro, se poi il denaro non circola. La Bce (che oggi ha i tassi al 2 per cento) non esclude più (segretamente) di poter arrivare in autunno all´1 per cento: se ci arriva prima, meglio.

Ma il problema sono gli istituti di credito e il denaro che non gira. Naturalmente, «forzare» le banche è una misura estrema e richiederebbe una compattezza politica e strategica da parte dei governi europei di cui oggi non si vede nemmeno il fantasma. Ma il problema rimane e sarà sempre più chiaro nei prossimi mesi.

Mentre l´Europa conta i suoi danni e i banchieri (come Paperon de´ Paperoni) nuotano nei triliardi che hanno nei loro caveau, qualcuno dovrebbe tenere d´occhio quello che accade nell´Est Europa (ex-Urss).

Fino a questo momento la crisi sembra aver solo sfiorato quelle terre. Ma non durerà a lungo. Negli ultimi decenni l´Europa ha trasferito da quelle parti larghe quote della sua industria manifatturiera (le auto i tedeschi, noi il tessile e un po´ di auto). E così la crisi manifatturiera inevitabilmente arriverà nei paesi dell´Est e sarà durissima. E´ evidente infatti che le aziende europee preferiranno tagliare «là», prima di «qui».

E questo è un problema serio, e non solo dal punto di vista sociale. Si tratta di paesi tutti di democrazia piuttosto giovane, e l´impatto con una crisi economica e sociale molto violenta potrebbe rimettere in gioco tutto quanto. Ma se l´Europa dell´Est dovesse davvero precipitare in una crisi verticale, l´Europa dell´Ovest potrà evitare qualche forma di contagio?
Insomma, il 2009 europeo si annuncia veramente complicato. E con dentro più incognite di quelle che vorremmo.

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