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I GESTORI PROFESSIONALI: BRAVI A FARE DANNI

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*Beppe Scienza e’ professore al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il 2005 non s’è ancora concluso. Ma già si possono tirare le somme: anche quest’anno si chiuderà con risultati fallimentari per i fondi comuni. In particolare per quelli specializzati sulla Borsa Italiana. Il bilancio di undici mesi è eloquente: in media le società di gestione hanno accumulato un minus di gestione del 4,7%. Senza rischi di smentite si può affermare che esso non verrà recuperato nell’arco di un mese.

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Al limite può consolare il fatto che l’anno scorso sia andata persino peggio. Nel 2004 il saldo rispetto alla crescita di Piazza Affari è stato pari al –6,4%. Pure l’anno precedente era andata male, con la conseguenza che in tre anni scarsi il deficit medio ammonta a 18 mila euro ogni 100 mila euro inizialmente investiti.

Dimensioni del fenomeno. Il danno complessivo subito dai clienti di questi fondi dall’inizio del 2003 è nell’ordine di 2,2 miliardi di euro. In soli tre anni una distruzione di ricchezza vicina alla metà delle perdite subite dai risparmiatori italiani con le obbligazioni Parmalat. Si tratta per altro di una frazione dei danni imputabili al risparmio gestito, stimabili nell’ordine dei 20 miliardi di euro l’anno (i dettagli di questo e dei successivi confronti sono riportati nelle mie pagine web al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino) www.beppescienza.it.

Per altro anche prima, ovvero da metà 1984 a fine 2002, in Italia la specialità dei sedicenti professionisti del risparmio è sempre stata quella di sfigurare rispetto ai mercati finanziari dove hanno investito. In particolare anche quello italiano, che dovrebbero conoscere come le loro tasche.

Masochismo generalizzato? Viene logico chiedersi cosa aspettino i clienti a scappare via di corsa. Vari elementi concorrono a spiegare tale comportamento, obiettivamente autolesionistico. Prendiamo per esempio quei milioni di clienti di San Paolo, Arca, Pioneer, Azimut ecc. che nel 2004 avevano ottenuto un 1416% con un fondo di azioni italiane. Erano performance che gridavano vendetta a fronte del 22,1% netto del mercato. Eppure è stato facile rigirargli la frittata, spacciando i fallimenti per successi. Il risparmio gestito è infatti l’ambito ideale per il delitto perfetto, che è quello dove la vittima neppure si accorge di aver subito un torto. Complice di tutto ciò è anche un largo settore del giornalismo economico che opera come cinghia di trasmissione degli uffici stampa dell’industria del risparmio gestito.

Dilagano infatti i confronti edulcorati, in particolare quelli che trascurano i dividendi per far apparire i risultati dei fondi sotto una migliore luce. Per fortuna ci sono però Fulvio Coltorti e la sua squadra all’ufficio studi di Mediobanca che documentano che i dividendi hanno arrotondato la crescita della Borsa italiana per il 5,8% lordo nel 2004 e per il 5,2% quest’anno (si veda all’indirizzo Internet www.mbres.it).

Perdite col San Paolo. Una delle contestazioni più spicciole è poi che confronti quali quelli della tabella riguarderebbero performance medie, poco significative come il proverbiale pollo di Trilussa. Ma è un’obiezione speciosa, perché nella sostanza i minus riportati nella tabella corrispondono anche a quelli dei maggiori fondi sul mercato. Prendiamo in particolare il più grosso della categoria ovvero il San Paolo Azioni Italia, tristemente noto per le manipolazioni scoperte nel 2003 dalla Consob, attualmente con un patrimonio di 1,4 miliardi (!) di euro. Gli effetti della cattiva gestione sono stati nei tre anni scorsi rispettivamente pari al –3,2% nel 2003, al –6% nel 2004 e al –4,1% quest’anno. Quindi in linea, ovviamente in negativo, con quelli del sistema.

Fare da soli. Ai risparmiatori viene poi raccontato che stare dietro all’indice della Borsa è difficilissimo. Il che è doppiamente falso. Da un lato l’industria del risparmio gestito lo può fare facilissimamente. Volendo, il limite massimo del 10% per titolo è infatti superabile anche per i fondi. Tale problema poi non si pone neppure con una gestione patrimoniale tradizionale, ossia in soli titoli. Ma banche e sim hanno quasi del tutto abbandonato tale formula, per impacchettare i soldi dei clienti in gestioni patrimoniali in fondi (Gpf), vere e proprie scatole nere prive di ogni trasparenza.

D’altro lato pure un privato può da solo, senza nessuna abilità e con modesto impegno, ottenere risultati vicini a quelli dell’indice, dividendi compresi. Non occorre mica che abbia tutti i circa 250 titoli del listino italiano! Già mantenendo in portafoglio soltanto i primi 30 nelle giuste proporzioni, avrebbe ottenuto il 21,3% nel 2004 e il 13,8% quest’anno, sempre al netto di imposte. Quindi più di quasi tutti i fondi “specializzati sull’Italia”.

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