(WSI) – La crisi che da due anni devasta l’economia mondiale deflagra il 9 agosto del 2007 quando a Francoforte la Banca centrale europea inietta improvvisamente 100 miliardi di euro nei mercati per evitare una crisi di liquidità e un improvviso prosciugamento del credito.
Gli istituti della Ue sono, infatti, sull’orlo di una crisi di nervi: il collasso di due hedge fund americani incorporati nella banca Bear Stearns che sembrava essere stato contenuto dalle autorità Usa, sparge, invece, le sue onde d’urto dall’altro lato dell’Atlantico. Scricchiolano gloriose istituzioni finanziarie in Germania, Olanda, Lussemburgo.
Ma l’8 agosto — a scoprirlo è un’approfondita inchiesta del Sole 24 Ore – è la francese Bnp Paribas la prima banca a rischiare il crac per il buco di 2,2 miliardi di dollari che emerge nei suoi fondi obbligazionari, fortemente esposti sul mercato americano dei mutui subprime. Quella della Bce è una ciambella di salvataggio che l’istituto, subito imitato negli Usa dalla Federal Reserve, getta ai mercati creditizi. Ma l’effetto è quello di portare in superficie il panico che già si era diffuso tra i capi di molte banche.
L’onda monta rapidamente costringendo le banche centrali a una serie infinita di interventi d’emergenza: gigantesche immissioni di liquidità e ripetute riduzione dei tassi d’interesse che negli Usa arrivano, alla fine, a quota zero.
Nemmeno questo basta ad evitare il crollo del castello di carte costruito da una finanza che negli ultimi anni si era abituata a moltiplicare senza fine esposizione finanziaria e rischi. E che, riempiendosi di titoli derivati basati su obbligazioni immobiliari, aveva scommesso su un mercato della casa in perenne crescita. Passa qualche mese nel quale la Borsa di Wall Street trova anche il modo di recuperare e segnare il record assoluto (14.164 punti dell’indice Dow Jones il 9 ottobre 2007) ma poi il crollo finale di Bear Sterns nel marzo 2008 e successivamente lo tsunami finanziario seguito, a settembre, al fallimento di Lehman Brothers, gettano il mondo nel caos finanziario.
La crisi deflagra in Europa ma nasce in America: è qui che all’inizio di questo decennio — l’era del «denaro facile» inaugurata dalla Fed per far crescere l’economia Usa — il volume dei prestiti alle famiglie, dei mutui-casa e dell’esposizione delle banche crescono tutti rapidamente e simultaneamente. I mutui subprime, quelli concessi a famiglie non in grado di fornire adeguate garanzie finanziarie e, spesso, con redditi da lavoro precari, raddoppiano passando in pochi anni dal 10 al 21 per cento del totale: a marzo 2007 i prestiti di questo tipo in essere sono ben 7 milioni per un importo complessivo di 1300 miliardi, il 10 per cento del reddito nazionale Usa.
Ma intanto, con i tassi che hanno ricominciato a crescere e i prezzi degli immobili che per la prima volta calano, chi ha scommesso sulla finanza derivata basata su «pacchetti» di mutui soffre: nel febbraio 2007 il gruppo bancario multinazionale Hsbc è costretto a cancellare dai suoi bilanci 10,5 miliardi di dollari di titoli basati sui mutui subprime. A giugno fallisce il gigante dei mutui American Home Mortgage: è il primo di una lunga serie.
Gli Stati Uniti stanno entrando in una tempesta che, dalla metà del 2007 fino alla fine del 2008, spazzerà via oltre un quarto del patrimonio degli americani. Una distruzione di ricchezza senza precedenti nella storia dell’umanità trasformatasi ben presto in un fenomeno globale e che, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, ha costretto i governi di tutto il mondo ad attivare interventi di salvataggio o per attutire gli effetti della crisi per un volume complessivo di diecimila miliardi di dollari.
A fine giugno 2009 le perdite accumulate dalle sole banche e finanziarie occidentali venivano stimate dall’Fmi in oltre 4 trilioni di dollari: 2.700 miliardi negli Usa, 1.200 in Europa, 150 in Giappone. E in questi due anni, c’è chi ha guadagnato e chi ha perso, anche tra i risparmiatori.
Ma all’inizio della crisi la Federal Reserve non si era mostrata più allarmata di tanto, tardando a intervenire sul costo del denaro. Il 3 agosto 2007 Jim Cramer — commentatore di Borsa della Cnbc dallo stile «scamiciato» e sempre sopra le righe, che è però un ex trader molto competente — aggredisce Bernanke: «Sul mercato del reddito fisso sta scoppiando l’Apocalisse. Cosa aspetta la Fed a intervenire?». Il capo della banca centrale Usa tace, ma pochi giorni dopo è costretto a cominciare a correre. Due anni dopo non si è ancora fermato.
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