Società

I Berluscones, e la loro inspiegabile resistenza ad oltranza

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Gianni Perrelli e’ editorialista di Wall Street Italia. Negli ultimi 15 anni e’ stato inviato speciale per L’espresso, con cui tuttora collabora. Ha viaggiato in almeno 150 paesi del mondo.

(WSI) – Nei miei frequenti viaggi di lavoro all’estero decine di volte mi sono sentito porgere le due domande a cui fuori dall’Italia quasi nessuno riesce a darsi una spiegazione:

1) Com’è possibile che una democrazia collaudata come l’Italia, pilastro del G8 e settima potenza economica del pianeta, abbia prodotto un fenomeno autoritario e populistico come il berlusconismo?

2) Al netto dell’uscita dei finiani, il Pdl secondo gli ultimi sondaggi conserva il 27 per cento dei consensi (pur in un panorama di incertezza che registra un 40 per cento di elettori disgustati dalla politica). Se si sottraggono i voti che andrebbero a Futuro e Libertà (stimati intorno al 7 per cento), dopo lo tsunami degli ultimi mesi ha subito uno smottamento irrisorio (forse ha preso le distanze qualche cattolico disorientato dal libertinaggio conclamato del premier) ed è ancora saldamente il partito più forte d’Italia. Se si votasse domani, rinnovando l’alleanza con la Lega di Umberto Bossi, il Cavaliere rivincerebbe con largo margine alla Camera, anche se non avrebbe la maggioranza al Senato.

Com’è possibile che dopo oltre 16 anni dalla discesa in campo la fiducia in Silvio Berlusconi rimanga così alta, malgrado i mediocri risultati del suo governo, le promesse disattese al di là degli effetti annuncio, una pressione fiscale neanche scalfita (anche se occorre riconoscere che è impossibile operare tagli in una crisi mondiale non certo provocata da lui), un mostruoso conflitto di interessi, la raffica di scandali (finanziari e sessuali) che lo hanno coinvolto insieme con il suo entourage, una concezione padronale dei rapporti con la giustizia (non si contano più le leggi ad personam), i tentativi quasi quotidiani di stravolgere la Costituzione, l’immagine caricaturale che di lui circola fuori dai confini nazionali?

Non è facile decifrare questi misteri su cui nelle più recenti analisi si sono invano interrogati anche intellettuali raffinati come Eugenio Scalfari e Barbara Spinelli. Per amor di patria non me la sono mai sentita di avallare la tesi secondo cui gli italiani sarebbero geneticamente sensibili al fascino dell’uomo forte (nonostante la tragedia del fascismo). O quella secondo cui il Cavaliere, avendo esercitato un autentico lavaggio del cervello con le sue televisioni commerciali (e le pubbliche che controlla come capo del governo), avrebbe finito per istupidire la maggioranza del paese.

Per trarmi di impaccio molto spesso ricorro alla provocazione: “Il neopopulismo di Berlusconi, come quello di Putin, è la dottrina di avanguardia del Ventunesimo secolo. Scordatevi Tocqueville e tutti i maestri della dottrina liberale. Fra 20 anni sarete anche voi come noi”. Qualcuno mi scambia per pazzo, qualcuno sorride perché capisce che cerco solo una scappatoia. In genere comunque raggiungo il mio scopo. Mi sottraggo a ulteriori richieste di chiarire il mistero buffo (almeno per gli stranieri).

Uscendo dal paradosso, provo ad articolare qualche ipotesi. Con l’ingresso in campo (’94), Silvio Berlusconi attrasse un blocco sociale che vedeva in lui il possibile artefice di una rivoluzione liberale. Un ampio segmento del paese composto dalla maggioranza dei moderati orfani della Democrazia Cristiana e degli ex socialisti senza più una guida dopo l’esilio di Bettino Craxi.

L’alleanza con i postfascisti di Gianfranco Fini, sdoganati, e con la Lega di Umberto Bossi (che si batte quasi esclusivamente per l’autonomia delle regioni settentrionali) garantì un serbatoio sufficiente di voti per conquistare il potere. Tra le cause della fascinazione collettiva la convinzione che il cavaliere, essendo già ricchissimo di suo, non avrebbe mai avuto la tentazione di rubare. E che, essendosi arricchito partendo dal nulla, avrebbe avuto gli strumenti per trasferire il suo fiuto di industriale in una buona politica del fare. Un calcolo, quest’ultimo, che non teneva conto della natura intrinseca della politica: che è arte del compromesso, non dirigismo aziendale.

Alla seconda domanda si può tentare di rispondere partendo da una premessa. Il consenso del Cavaliere, come abbiamo accennato, oggi non è in realtà così granitico. E non solo perché Gianfranco Fini, in un rigurgito di sensibilità democratica, gli ha voltato le spalle al cavaliere. Ma anche perché un settore dei moderati che aveva creduto nelle sue mirabolanti promesse si sta rifugiando nella tentazione dell’astensionismo.

Almeno un quarto del paese (e con il persistente appoggio della Lega si arriva al 40 per cento) è però ancora attratto dal Cavaliere. Il blocco elettorale, secondo i politologi più accreditati, si compone di vari gruppi. Il primo è quello dei fedelissimi, che nutrono nei confronti del premier un sentimento di devozione quasi religioso. Perlopiù casalinghe, pensionati, cittadini di scarsa cultura che si informano prevalentemente seguendo i notiziari televisivi. Pronti a giustificare ogni azione del Cavaliere, in un processo di beatificazione acritico che non ammette eccezioni. Talmente accecati d’amore che, se per assurdo, Berlusconi uccidesse un bambino sulla pubblica piazza direbbero che ha fatto bene: perché quel ragazzino, da grande, avrebbe potuto diventare un comunista…

Il secondo gruppo è quello di chi spera ancora con incrollabile tenacia che, dopo 16 anni di promesse e di annunci, Berlusconi trovi finalmente la forza per realizzare la sua rivoluzione liberale.

Il terzo è quello degli opportunisti. Include soprattutto un’ampia fascia dei liberi professionisti e del settore privato, in cui sotto le maglie fiscali piuttosto larghe del berlusconismo (specialista mondiale in condoni) si annida una grossa percentuale dell’evasione delle tasse. Elettori egoisticamente preoccupati solo del proprio orticello. Del tutto indifferenti ai principi della morale e del bene pubblico, considerati fossili del passato, non in linea con la modernità. In senso lato a questa categoria si può ascrivere anche la maggioranza di cattolici disposti a sorvolare sui dieci comandamenti in cambio delle garanzie elargite dal Cavaliere sui temi sensibili della bioetica, sul sostegno fornito alle scuole confessionali, sul contrasto al laicismo che ha contagiato anche Fini. In un paese che non ha mai conosciuto i rigori luterani non c’è peccato che non trovi un’assoluzione. Se poi è soltanto sessuale, bastano tre Pater, Ave e Gloria.

Si sono poi moltiplicati, soprattutto in campo maschile, gli ammiratori indefessi dello stile di vita del Cavaliere: ricco, brillante nella comunicazione, seduttore. L’icona di un italiano vero: il modello che molti dei nostri connazionali vorrebbero incarnare.

C’è, ancora, il gruppo (pur se in calo) di chi vede nell’opposizione solo la quinta colonna del comunismo, anche se i partiti che si richiamano al marxismo non hanno più alcuna rappresentanza in Parlamento. Berlusconi, fin dalla sua discesa in politica, si è posto alla testa di una crociata che non ha più ragion di essere ma che infiamma ancora l’animo di qualche spirito accanito.

Infine c’è il gruppo di chi finisce per votarlo turandosi il naso perché, dall’altra parte, vede un’opposizione solo pasticciona, senza leader né proposte. Elettori che non nutrono più illusioni su Berlusconi, ma continuano a sostenerlo per forza di inerzia, o per mancanza di alternative.

Il berlusconismo è in evidente difficoltà ma il suo declino potrebbe trasformarsi in una lunghissima agonia. Non è facile, per chi ha creduto al suo libro dei sogni, accettare dopo 16 anni di essere stato abbagliato da una gigantesca allucinazione. La resistenza ad oltranza dei berluscones è un fenomeno ormai più psicologico che politico. Assomiglia all’atteggiamento di quelle donne (o uomini) strapazzate (strapazzati) o magari cornificate (cornificati) dal (dalla) partner ma che non hanno la forza di sbattere la porta. Adducendo la giustificazione lamentosa: “Sì, me ne fa di tutti i colori, ma gli voglio troppo bene e non lo (la) posso lasciare”.

Ma, come per tutte le parabole (anche quelle lunghe), prima o poi inizia sempre il declino. Certo, è scontato che Berlusconi non sarà mai abbandonato dal primo gruppo (quello degli innamorati) che perfino dopo le rivelazioni di Wikileaks continuano a considerarlo un gigante della politica internazionale. In fondo c’è gente che a quasi 70 anni di distanza ha ancora nostalgia del fascismo. Ma per chi insegue ancora l’araba fenice della rivoluzione liberale i margini di fiducia verso il Cavaliere sono inevitabilmente frustrati dai modestissimi risultati.

Pure per gli opportunisti, in perduranti tempi di crisi, l’attrazione si sta inesorabilmente assottigliando. E lo screditamento incessante dei festini (selvaggi o meno) dovrebbe alla lunga rendere meno irresistibile agli occhi dei machisti anche la figura del Berlusconi–Casanova. Ancora convincente potrebbe essere semmai il richiamo all’anticomunismo, un’ossessione che in Italia tocca sempre nervi scoperti. A chi ritiene infine che non ci siano alternative al Cavaliere, sarebbe facile ribattere che nessuno in questo mondo è insostituibile e insuperabile (un leader considerato incolore come Romano Prodi l’ha battuto due volte su due) e che l’Italia quasi in ginocchio del 2010 è stata governata per otto degli ultimi dieci anni proprio dal carismatico Cavaliere (visti i risultati, forse è augurabile che il prossimo premier sia una figura più grigia).

Queste considerazioni sono ovviamente troppo razionali in una dimensione, com’è quella politica, che vive soprattutto di passioni. E’ assodato che il miraggio del liberalismo, anche agli occhi dei berluscones più sfegatati, è ben lungi dal concretizzarsi. Ma, da che mondo è mondo, si sa che è sempre sgradevole interrompere un’emozione.