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(WSI) – «Guarda, e te lo garantisco, che io non sono un delinquente come mi dipingono». Non dev´essere una frase facile da dire al tuo migliore amico, uno che ti è vicino da quarant´anni, fin dai banchi del perito elettrotecnico. Difatti aveva il magone, Emilio Gnutti, mentre l´altra sera smozzicava queste parole. E per un duro come lui (duro fuori, almeno: nella sua cerchia è descritto come un burbero di cuore) il magone è tanta roba. Vuol dire che intorno c´è già chi piange. Che l´avventura della Hopa è planata nelle mani delle banche creditrici, dopo l´uscita del patriarca, ormai quasi un pensionato. Prima però Gnutti deve regolare i conti con la giustizia, e col suo cuore malato.
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L´ultimo attacco di angina pectoris, prima di Natale, ne ha indebolito nel fisico. E l´esplosione degli scandali finanziari ne ha fiaccato la tempra, quel tenace tratto padano con cui in trent´anni ha eretto un impero in provincia, partito dal poco dei motori elettrici e dei leasing Fineco. «A costruire ci si mette una vita – si sfoga Gnutti tra amici – a distruggere basta un minuto. Senza parlare della schifezza delle intercettazioni sui giornali, che fanno male ai protagonisti e anche alle loro famiglie».
Demoralizzato, sconcertato, ammutolito. Gnutti non ha più voglia di parlare, non tanto ai giornalisti – con loro, neanche nei giorni buoni: per lui contano solo i fatti – ma neppure ai famigliari, o ai collaboratori storici. Lo vedi per strada, ti saluta ma è già svicolato. «Non ammetterà mai davanti a noi che si è sbagliato, riguardo a certe persone o certe strategie – dice uno di loro – è troppo orgoglioso della sua fama di mago della finanza». Fama che dalla natia Brescia s´è ampliata al paese, a far di Gnutti l´effigie di un´imprenditorialità svelta e scaltra, poco attaccato ai totem del passato (il tondino, per stare in zona) e molto abile nel trading, nelle manovre dietro le quinte del mercato. Con queste tele ha intessuto una trama di alleanze e incroci azionari insieme al meglio dei “furbetti”: Fiorani, Consorte, Ricucci.
Un´imprudenza, quanto meno. «Fiorani come persona mi ha deluso, di certe sue condotte censurabili non ero al corrente – dice ora il finanziere bresciano, in privato – quindi non posso sentirmene responsabile. Sono questioni che mi son trovato sul gobbo, e comunque non mi sento né architetto né regista di certe operazioni».
La vittoria ha tante madri, la sconfitta meno. Toccherà agli inquirenti stabilire i ruoli nella grande tela Antonveneta-Bnl-Rcs, suddividendo le responsabilità tra ras e gregari. Gnutti e la sua Hopa, di sicuro, hanno rappresentato un raccordo topico nelle guerre finanziarie del 2005: presenti a difesa dell´italianità nel capitale delle due banche sotto scalata, salde da anni in Mps e in Unipol, oltre che nella galassia Telecom. Tante ambizioni, unite a uno stile accentratore nella gestione e nelle decisioni. Tutto questo ora fa mugugnare parecchi di quei bresciani che, mettendo i loro soldi in Hopa, gli erano andati dietro e mai si sognavano questo epilogo.
Ma Gnutti nega che la sua “base” gli si sia rivoltata: «Continuo a ricevere lettere di soci Hopa che mi chiedono di restare al mio posto», diceva fino a qualche giorno fa. «Mollare non è stato facile – ha confidato ai collaboratori, lasciando la presidenza della holding – avrei voluto prima sistemare le società che amministravo, per non lasciare in mani diverse dalle mie i soci di tanti anni». Non ha potuto farlo, e gli resta il rimpianto: troppo duri da sciogliere i nodi delle partecipazioni Hopa (non tutte azzeccate, col senno del poi), per scioglierli con sulla schiena il carico pesante delle ipotesi di reato, ultima venuta l´associazione a delinquere nella scalata padovana.
Eppure, lui continua a ritenere che le tante accuse spiovute in poco tempo abbiano una matrice non solo giudiziaria. «Sono andato a toccare certi salotti dove non dovevo entrare, la cosa ha dato fastidio. Ho rotto alcuni equilibri, già dai tempi dell´Opa Telecom. C´era un sacco di gente che mi aspettava al varco». Forse qualche «signore dello 0,6%» (ma qui il copyright è di D´Alema), che con poche azioni voleva comandare l´ex monopolio telefonico.
La colpa fatale, però, quella che ha cambiato il corso agli eventi, è stata commessa a Padova. «La corsa all´Antonveneta era meglio se non la facevo. Ma l´ho fatto credendo di fare il bene di Hopa». Sui metodi messi in campo, Gnutti non di dilunga. Di concerti, aggiotaggi, insider trading non parla neanche allo specchio: meglio fare quadrato con gli avvocati e difendersi.
Forse verrà un tempo per meditare su questo. Anche perché Brescia, l´amata, ha sospeso il giudizio. Divisa tra salotti buoni che il fenomeno Gnutti non l´hanno mai accettato e i più “sportivi”, per cui lui, le auto, gli orologi, erano un modello. Come i compagni di classe della Quinta G, che in un memento dei bei tempi il Chicco aveva trasformato in Quinta G spa, arricchendoli.
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