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(WSI) – «Il prezzo alle stelle delle materie prime come il rame e l’argento paralizza l’industria», gridano i trasformatori mondiali. «È il mercato, bellezza», rispondono gli hedge fund, i fondi pensione e la speculazione professionale. A scatenare la guerra fra industria e finanza sono i rincari: negli ultimi tre anni il prezzo del rame all’Lme è triplicato da meno di 2mila dollari fino all’attuale livello record di oltre 6mila dollari la tonnellata.
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Picco da 23 anni anche per l’argento, schizzato a quasi 15 dollari l’oncia: dopo il crollo subìto per la mancata approvazione dell’Etf da parte della Sec, il metallo è infatti volato all’annuncio che Bhp Billiton produrrà il 20% in meno nel 2006. La pressione delle lobby, dunque, si fa sentire: da una parte i trasformatori, dall’altra la grande finanza con Borse merci e broker che possono anche approfittare della diffusione di strumenti come gli stessi Etf o i certificate.
La frattura rischia di allargarsi, considerato che il ciclo rialzista dei metalli non accenna a esaurirsi: i fondi d’investimento a rischio prevedono infatti di puntare circa 110 miliardi di dollari in operazioni speculative sui mercati dei metalli. Un’angoscia per l’Iwcc (l’associazione internazionale di tutti i principali trasformatori di rame e sue leghe nel mondo) che ha già lanciato l’allarme rosso al London Metal Exchange e all’Authority sui servizi finanziari (Fsa).
Perché i trasformatori di rame sono sotto pressione? «Vanno considerati i fondamentali, ovvero produzione e consumo – spiega Luciano Parolai, presidente di Centro Rame – Esistono difficoltà ad aumentare la produzione in breve tempo per la rischiosità elevata. Gli investimenti devono essere garantiti da un ritorno adeguato mentre sul mercato c’è grande incertezza. Una volta deciso l’investimento servono poi un paio d’anni per far funzionare una miniera, quindi il tempo di reazione è lunghissimo. La produzione mineraria riesce appena a soddisfare le richieste del consumo mondiale peraltro non particolarmente brillante, figuriamoci se la richiesta improvvisamente aumentasse».
Ma, soprattutto, c’è il peso della finanza. «In Borsa prevalgono gli acquisti delle istituzioni finanziarie, investitori e speculatori che comprano sulla carta a termine. A questi si sono aggiunte le banche che hanno raccolto fondi da piccoli risparmiatori per investire in commodity. Con questa raccolta capillare si è riversato un volume impressionante di denaro che non guarda al livello di prezzo. E la bolla sta crescendo in maniera esponenziale». Cosa succederà? «Il prezzo del rame è quadruplicato in tre anni e così anche il fabbisogno di circolante per finanziare il metallo impegnato nel ciclo produttivo e commerciale. Le risorse però sono limitate.
A questo punto sarebbe meglio operare fuori dalla Borsa metalli: le commodity non quotate hanno del resto subìto aumenti molto più limitati. Chi investe lo fa solo sulla Borsa merci che è trasparente e funzionale agli investitori finanziari, e per questo è più attraente per questo genere di investimenti. Il problema è che non è più la borsa merci per l’industria, ma è ormai gestita da istituzioni finanziarie e utilizzata principalmente per investimenti speculativi. Qui non è in discussione la borsa merci come istituzione ma il fatto che vi sono entrati soggetti che l’hanno snaturata. Vanno individuate regole, a partire da un regolamento più severo per l’ammissione degli operatori alla Borsa».
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