*Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Solo a maggio, gli hedge fund hanno raccolto in Italia oltre un miliardo di euro, portando il saldo da inizio anno a 2,7 miliardi. Guardando alle statistiche di Assogestioni, sono la categoria che ha attratto più flussi di risparmio dopo i fondi obbligazionari. Eppure, da gennaio non hanno brillato per rendimenti (-1,2% la performance dell’indice Msci hedge fund composite) e non mancano timori di una crisi, tanto che il Financial Times titolava un articolo del 14 maggio: “Nuvole nere sugli hedge fund”.
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Tassi di interesse in aumento e abbassamento del rating a titoli spazzatura di alcune obbligazioni societarie, tra cui le emissioni di General Motors e Ford, hanno fatto suonare il campanello d’allarme. In effetti, è dalla crisi del 1998 che non si vedeva la maggior parte degli hedge fund in rosso. D’altra parte, ogni fase di politica monetaria restrittiva è associata a una crisi degli operatori che ricorrono maggiormente alla leva finanziaria, cioè quelli più indebitati, come i fondi speculativi che seguono strategie non direzionali basate sugli arbitraggi.
In realtà, sono pochi gli operatori che temono un crac come quello che colpì la Long Term Capital Management (Ltcm) sette anni fa, perché la Federal Reserve è molto più attenta di allora e il ricorso alla leva inferiore. Inoltre, il mercato mondiale si è allargato, il patrimonio in gestione è di circa mille miliardi di dollari, e comprende molti più istituzionali, il cui orizzonte temporale è di lungo periodo. Questo fattore limita i pericoli di un’ondata di richieste di riscatto, anche se rendimenti negativi o modesti possono provocare dei deflussi, perché tra gli investitori individuali è troppo diffusa l’aspettativa di ritorni elevati.
Il successo degli hedge fund negli ultimi anni è legato alla ricerca di strumenti in grado di offrire ritorni superiori a quelli offerti dai titoli obbligazionari e alternativi rispetto alle azioni che sono state colpite pesantemente dallo scoppio della bolla della new economy. Le masse raggiunte dall’industria a livello mondiale, Italia compresa, fanno pensare a un fenomeno di moda, anche se non è per tutti i portafogli, date le elevate soglie di ingresso. E’ significativo che i fondi alternativi siano tra le classi di attività più gettonate: secondo un sondaggio Morningstar tra le principali case di gestione europee, il 34% degli intervistati è convinto che domineranno il lancio di nuovi prodotti nei prossimi mesi ed è diffusa la convinzione che possano erodere quote ai fondi comuni.
In finanza, tuttavia, le mode sono pericolose, perché passeggere. Secondo l’Osservatorio di MondoHedge, la clientela privata è la più importante fonte di capitali per l’industria italiana, dal momento che rappresenta il 70,1% del totale. E un ruolo importante, come dimostrano i dati sulla raccolta, hanno le divisioni di private banking dei grandi gruppi bancari che hanno cominciato a girare i portafogli degli investitori più facoltosi su questi strumenti. E’ significativo che le sgr speculative degli istituti di credito facciano il pieno, mentre, in molti casi, quelle tradizionali sono in rosso.
Un’industria può crescere in modo solido se a governarla non sono né le mode né le promesse di alti rendimenti, per altro difficili da mantenere. Caratteristica peculiare degli hedge fund è la presenza di minori vincoli, per cui il gestore può esprimere al meglio la sua abilità. C’è da attendersi che in un contesto dove fare performance è meno facile e il numero di operatori è elevato (nel mondo ci sono oltre 7 mila società di hedge) non ci sarà spazio per tutti.
Nel libero mercato, è l’incontro tra domanda e offerta che determina vincenti e perdenti; ma questa è una situazione ideale e nel concreto esistono delle rigidità che impediscono di scegliere i prodotti senza vincoli. E’ importante, comunque, che l’investitore non si fermi a quanto gli viene proposto, così come l’industria ha il compito di fornire al potenziale cliente tutti gli strumenti per valutare se il prodotto risponde effettivamente alle sue esigenze (orizzonte temporale, profilo di rischio, obiettivi di investimento). Solo in questo modo, sarà la qualità a fare la differenza, non le logiche commerciali.
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