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Guerra Ucraina: i sei rischi secondo Roubini, dalla recessione al mercato dell’orso

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Lo scorso fine anno l’economista Nouriel Roubini ha avvertito che l’anno che stava per arrivare, il 2022, sarebbe stato “molto più difficile del 2021”, prevedendo che “l’impennata dell’inflazione non sarebbe stata solo temporanea” e che “i rischi geopolitici incombenti stavano diventando più acuti”. In cima a questa lista di rischi c’era l’escalation di tensioni tra Russia e Ucraina che è poi sfociata nel conflitto odierno.

Ed è proprio dalla guerra in corso che Roubini individua sei rischi concreti. Vediamoli da vicino.

Roubini: i sei rischi  dal conflitto in Ucraina

In primis una recessione stagnante visto che secondo l’economista è possibile che i mercati finanziari e gli analisti politici “sottovalutino le implicazioni di questo cambio di regime geopolitico”, ha sottolineato.

“La guerra in Ucraina non è solo un altro conflitto minore, economicamente e finanziariamente irrilevante rispetto ad altri visti altrove negli ultimi decenni… La crisi di oggi “rappresenta un salto quantico geopolitico…. “Le sue implicazioni e il suo significato a lungo termine non possono essere sopravvalutati”.

In generale, in termini economici, una recessione stagflazionistica globale è ora “altamente probabile”, sostiene Roubini. Infatti, gli analisti sono attualmente preoccupati che la Fed e le altre principali banche centrali potrebbero non essere in grado di ottenere “un atterraggio morbido da questa crisi e dalle sue conseguenze”.

Il secondo rischio è un mercato dell’orso con le valute “rifugio” come il franco svizzero e l’oro destinati a rafforzarsi.

Dato il “massiccio shock stagflazionistico del risk-off, le azioni globali probabilmente si muoveranno dall’attuale gamma di correzione (-10%) in territorio di mercato orso (-20% o più)”.

Terzo rischio secondo Roubini, le dolorose conseguenze economiche e finanziarie della guerra e il suo conseguente shock stagflazionistico che saranno “più grandi in Russia e Ucraina, seguite dall’Unione Europea, a causa della sua forte dipendenza dal gas russo”. Ma anche gli Stati Uniti soffriranno secondo Roubini.

Le sanzioni “inevitabilmente faranno male non solo alla Russia, ma anche agli Stati Uniti, all’Occidente e ai mercati emergenti”

C’è anche la possibilità che la Russia risponda alle nuove sanzioni, per esempio tagliando drasticamente la produzione di petrolio per spingere in alto i prezzi del greggio a livello globale, secondo Roubini.

Quarto rischio una stagflazione esacerbata o recessione. Combattere l’inflazione implica tassi d’interesse più alti, il che aumenta il prezzo del denaro e smorza l’economia in generale.

“Abbiamo già visto questo film due volte, con gli shock dei prezzi del petrolio del 1973 e del 1979”, afferma Roubini. “La replica di oggi sarà quasi altrettanto brutta”. In questo contesto, è probabile che i banchieri centrali “si sbizzarriscano, come hanno fatto negli anni ’70 e quando alla fine opteranno “per un ritmo più lento della stretta monetaria… questo disancorerà ulteriori aspettative di inflazione”.

Penultimo rischio è il fiasco della politica fiscale. L’Occidente non può contare sulla politica fiscale “per contrastare gli effetti di attenuazione della crescita dello shock ucraino”, insiste Roubini. Secondo l’economista molti paesi sono ora a corto di “munizioni fiscali” a causa delle loro risposte alla pandemia COVID-19; i governi hanno accumulato grandi deficit, e il servizio di questo debito è destinato a diventare più costoso con l’aumento dei tassi.

Roubini fa notare che le politiche di stimolo lanciate dopo la crisi finanziaria globale del 2008 non hanno portato all’inflazione, poiché la fonte di quello shock era sul lato della domanda – cioè era guidato “da una stretta creditizia in un momento in cui l’inflazione era bassa e sotto l’obiettivo”. La situazione di oggi, naturalmente, è completamente diversa, spiega l’economista.

Siamo di fronte a uno shock negativo dell’offerta in un mondo in cui l’inflazione è già in aumento e ben al di sopra del target”.

Infine il sesto e ultimo rischio deriva dal fatto che crediamo che la guerra Russia-Ucraina sia destinata a produrre solo “un impatto economico e finanziario minore e temporaneo”, ma dice Roubini, è pericoloso pensare in questo modo.

È vero, la Russia rappresenta meno del 5% dell’economia globale e l’Ucraina molto meno. Ma gli stati arabi che imposero un embargo petrolifero nel 1973, e l’Iran rivoluzionario nel 1979, rappresentavano una quota ancora più piccola del PIL globale rispetto alla Russia di oggi”, e l’economia globale ha affrontato sfide serie e dolorose in quei momenti.

“L’impatto globale della guerra di Putin sarà incanalato attraverso il petrolio e il gas naturale, ma non si fermerà lì….Prevediamo “effetti a catena” che “sferreranno un duro colpo alla fiducia globale” nel mezzo della “fragile ripresa dalla pandemia… che sta già entrando in un periodo di incertezza più profonda e di pressioni inflazionistiche in aumento”.

In altre parole, l’economista crede che le conseguenze della crisi ucraina – e la “più ampia depressione geopolitica” che deriva “saranno tutt’altro che transitorie”.