ROMA – Liti furibonde in Sardegna, duelli all’arma bianca in Abruzzo, spaccature insanabili in Puglia, battaglie anche in Calabria e Lombardia. Le dinamiche grilline sul territorio assomigliano a un bollettino di guerra. E siccome le Europee si avvicinano, il vertice del Movimento ha pensato bene di stoppare la pericolosa escalation sarda, negando l’uso del simbolo per le Regionali. D’altra parte, le ultime elezioni locali erano state un autentico flop.
Ancora brucia, nel quartier generale della Casaleggio, l’incredibile crollo lucano. «Il voto locale è diverso da quello nazionale, dove il M5S vola», ripetono dallo staff. E però le percentuali deludenti delle ultime amministrative – l’8,97% in Basilicata, il 13,75% in Friuli consigliano di saltare un giro.
La galassia pentastellata è in subbuglio. Dopo il boom delle Politiche, fioriscono meet-up in ogni angolo della Penisola. Pattuglie di attivisti si spaccano e si sdoppiano, consumandosi in scontri velenosi. Litigano su tutto, anche sulla politica delle alleanze: prima dello stop, una delle fazioni sarde accarezzava l’idea di una futura intesa con il Pd, sul modello siciliano. Un incubo, per gli ortodossi.
Il ping pong di accuse sfibra la giovane forza politica. Volano anatemi: «Voi siete infiltrati», «avete permesso a personaggi poco trasparenti di entrare nel Movimento». La novità, però, è che Beppe Grillo non ne può più. Nell’ultimo contatto con i parlamentari sardi, il leader ha messo in chiaro: «Non mi interessano gli scontri tra attivisti. Litigano, mi chiedono di prendere posizione: ma come faccio? Non ci metto la faccia, il simbolo se lo sognano. Se ne stiano un giro a casa. Non siamo a caccia di poltrone».
Gianroberto Casaleggio, poi, è furioso. Il modello di democrazia orizzontale – in assenza di gerarchia territoriale – mostra gravi lacune. Alle sentinelle romane ha consegnato un messaggio: «D’ora in poi, di fronte a scontri tra meet up, negheremo il simbolo. Bisogna fermare chi insegue ambizioni personali, tradendo lo spirito del M5S». L’ex manager, intanto, studia come selezionare la classe dirigente senza snaturare il movimento.
Il problema è che Grillo e Casaleggio non concordano del tutto sulla strategia dei prossimi mesi. Il comico preferirebbe sfruttare le motivazioni della Consulta sul Porcellum – ormai prossime – per chiedere ai suoi un gesto clamoroso: l’addio al Parlamento. Il guru frena, preoccupato dal complicato iter per le dimissioni e dall’effetto boomerang di una scelta così deflagrante.
Nella plancia di comando grillina tutti hanno fretta. Vogliono boicottare il governo, arare il campo in vista delle Europee. Insistono nella crociata antigiornalisti – ieri nel mirino è finito il cronista dell’Unità Toni Jop – e valutano una mozione di sfiducia sul ministro Nunzia De Girolamo. O contro un altro ministro di Ncd come Maurizio Lupi. Hanno messo la questione all’ordine del giorno dell’assemblea prevista per oggi, cercando il punto debole che invogli i parlamentari democratici a seguirli. Qualcuno ha proposto di inchiodare il responsabile delle Infrastrutture al nodo del gasdotto Tap, altri ipotizzano di attaccarlo sulla vicenda del canale per le grandi navi a Venezia, già oggetto di una lettera di trenta parlamentari dem a Enrico Letta. E infatti il senatore dem Felice Casson promette: «Se su questo presentano la sfiducia a Lupi, la voto».
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