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Se Alan Greenspan dovesse – del tutto a sorpresa – alzare i tassi d’interesse alla prossima riunione del Comitato della Federal reserve darebbe sicuramente scandalo a chi ne conosce la capacità di navigazione nella diplomazia politica e nei rapporti con il presidente Bush. Se non lo facesse però darebbe scandalo ai puristi della politica monetaria. Prima o poi però dovrà piegarsi alle ragioni dell’economia e tradire quelle della politica.

La ragione principale per evitare un aumento del costo del denaro è la deludente creazione di posti di lavoro dell’economia americana. Nonostante la ripresa si stia facendo sentire, l’inflazione americana è ancora molto bassa e Alan Greenspan non ha alcuna intenzione di smentire il proprio passato ottimismo.

Nondimeno la maggior parte degli economisti monetari, non solo americani, si chiedono se non si stia accumulando un eccesso mai visto di dollari. Gli stessi tassi d’interesse sono al livello più basso degli ultimi 30 anni. Quelli reali sono praticamente pari a zero. Il calo del dollaro è un altro elemento di rilassamento nelle condizioni monetarie americane. Quanto pensa di poter andare avanti così, Greenspan?

Una nuova teoria sta prendendo piede. Ne abbiamo già accennato qualche settimana fa. L’economia americana sembra aver bisogno di attirare investimenti attraverso un processo di bolle speculative che si gonfiano una dopo l’altra. Prima quella della new economy, poi le obbligazioni societarie, poi il mercato immobiliare. Solo così gli Stati Uniti si assicurano di poter attrarre l’enorme quantità di capitali che finanzia il deficit delle partite correnti. Per poter drogare i mercati i tassi d’interesse devono restare molto al di sotto del tasso nominale di crescita dell’economia che è una specie di approssimazione del tasso di rendimento medio di tutto ciò che esiste sul territorio degli Stati Uniti. Questo assicurerebbe che il costo del finanziamento del capitale, sia inferiore al rendimento dell’Azienda America e quindi che il flusso di capitali dall’estero non si interrompa. Ancora una volta se questo è il ragionamento di Greenspan, l’economia americana è governata davvero da un mago illusionista. C’è da chiedersi se la corda sotto i suoi piedi esista davvero. La domanda con la Federal Riserve infatti non sembra essere più se l’inflazione sale o scende, ma se i mercati degli assets stanno scalando nuove vette e allettando i capitali di mezzo mondo. Nulla a che vedere ovviamente con le teorie sul tasso neutrale d’interesse.

Il rischio che questo strano mix riporti in America lo spettro dell’inflazione è piuttosto modesto. Anche se il prezzo del petrolio sale e il dollaro scende, la pressione salariale resta molto moderata. Alla fin fine la domanda di beni di consumo resta debole e non si può scaricare sull’indice dei prezzi.

E’ davvero una magra consolazione non avere inflazione solo grazie a un eccesso di disoccupazione e di contenimento dei redditi da lavoro. Ma dove si scarica intanto l’eccesso di offerta di moneta che la Fed sta pompando nel mercato? Evidentemente, come sosteniamo da tempo, nel gonfiare le bolle speculative. Il risultato è che la situazione sociale in America si sta polarizzando in misura estrema tra basso reddito da lavoro e alto rendimento del capitale. A ben vedere la scelta del tasso d’interesse di Greenspan è davvero tutt’altro che neutrale, anche politicamente.

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