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GREENSPAN ANCORA AMICO DEI TMT?

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La riunione della Federal Reserve si avvicina, e i mercati sentono l’importanza di questo appuntamento reagendo con nervosismo o con speranza alle indicazioni della banca centrale più influente del mondo.

Il 31 di gennaio si conoscerà dunque il verdetto tanto atteso, e se il Governatore deciderà per l’ennesima volta di gettare il salvagente all’economia americana.

Le premesse affinché questo si verifichi ci sono tutte, e, negli ultimi anni, Greenspan non ha sbagliato un colpo, mostrandosi pronto ad intervenire quando la situazione economica o finanziaria lo rendesse necessario.

E che l’economia americana scricchioli è ormai piuttosto evidente, ma quanto sia profondo il solco da risalire non è ancora ben noto.
Sta di fatto che Greenspan è presente e vigila, e questo basta da solo a rassicurare i mercati.

Nell’ultima settimana, dando di fatto il benestare ai tagli delle imposte proposti dal nuovo Presidente Bush, egli ha sottolineato che l’economia americana si trova in una situazione molto delicata, ma ha anche ribadito che verranno usati tutti i mezzi di politica monetaria e fiscale affinché gli Stati Uniti non precipitino in una recessione, tanto più pericolosa se si considera che essi provengono da un lungo periodo di prosperità economica: circa 8 anni di crescita ininterrotta, uno dei più lunghi cicli espansivi USA, ad un ritmo che ha stupito il mondo.

Il Governatore, quindi, ha già fatto molto per l’economia, e, pertanto, ci si attende che mercoledì faccia ancora la sua parte, riducendo i tassi di interesse, magari – come sembra probabile – di un altro mezzo punto percentuale.

D’altro canto, non è un mistero che la banca centrale americana guardi con attenzione anche a quello che succede in Borsa.

E quando si parla del mercato azionario americano non ci si riferisce qui tanto allo S&P 500 (che dai massimi ha perso poco più del 10%), ma al Nasdaq, che negli ultimi due anni è stato per gli investitori prima delizia, fino a marzo 2000, e poi croce.

Ad avvalorare questa ipotesi ci aiuta quanto successo nelle ultime settimane. Nel discorso tenuto di fronte ai banchieri americani il 6 dicembre, il Governatore della FED aveva sollecitato il sistema bancario ad “allargare i cordoni della borsa”, concedendo credito alle aziende con situazioni finanziarie difficili, ma comunque con buoni fondamentali e un modello di business credibile.

E sicuramente Greenspan aveva in mente una categoria specifica di società, quella comunemente conosciuta con la sigla TMT (tecnologia, media, telecomunicazioni).

Molte di queste aziende della new economy, che erano state la locomotiva del Nasdaq nei primi mesi del 2000, non solo, infatti, al momento del suo intervento, avevano perso gran parte del loro valore di borsa, ma si avvicinavano pericolosamente al fallimento, polverizzando i risparmi degli investitori che in esse avevano creduto.

Inoltre, fatto ancor più grave, veniva compromesso il modello stesso della new economy, motivo di grande orgoglio per gli Americani.

Un elemento per misurare la drammaticità di questa situazione è fornito dal “credit spread”, ossia il differenziale di rendimento fra i titoli governativi USA (i T-bond, la tipologia di obbligazioni più sicura al mondo, grazie all’affidabilità del Governo americano) e i titoli corporate, cioè le obbligazioni emesse da società private, ad esempio le aziende TMT americane.

Mentre questo differenziale, fra il 1997 e i primi mesi del 2000, è rimasto stabile in un intervallo compreso tra i 50 e i 400 punti base (cioè le obbligazioni corporate hanno reso tra lo 0.5% e il 4% in più rispetto al rendimento di un titolo emesso dal Tesoro americano), a partire da marzo, in corrispondenza della forte correzione del Nasdaq, questo indicatore si è via via ampliato, fino a raggiungere gli oltre 1200 punti base registrati a novembre 2000.

Questo significa che, data la loro elevata rischiosità, molte società hanno dovuto pagare un “premio per il rischio” tre volte maggiore che in passato. Senza contare che, per molte aziende TMT, l’accesso al credito risultava pressoché impossibile a fine 2000, con una probabilità di fallimento elevatissima.

Non è un caso, pertanto, che il discorso di Greenspan sia giunto proprio nel momento in cui questo indicatore mostrava “allarme rosso”, e che sia seguito un taglio dei tassi proprio il 3 gennaio, cioè dopo che il Nasdaq, il giorno prima, inaugurava l’anno con il minimo storico dell’ultimo biennio, a 2291.86 punti.

Da quella data molte cose sono successe: il mercato high yield (cioè, in particolare, le obbligazioni corporate) ha recuperato parte del terreno perduto, e così ha fatto pure il Nasdaq: +20% in 3 settimane.

Rialzi ancora più consistenti si sono verificati su alcuni titoli del settore TMT, e in particolare su quelli di alcune società di telecomunicazione. Un caso emblematico è rappresentato da AT&T, che dai minimi attorno ai 21$ di fine dicembre ha recuperato oltre il 35%.

Vi sono comunque elementi che rendono fiduciosi circa una prosecuzione del rialzo dei titoli TMT anche nei prossimi mesi. Vediamoli:

1. Aspetti valutativi: alcune aziende sono diventate più appetibili sulla base di considerazioni relative ai fondamentali. Un indicatore utilizzato in questi casi per valutare se il prezzo di un’azione è più o meno “caro” in base ai fondamentali della società è il P/E (price earning, rapporto tra il prezzo del titolo e gli utili dell’azienda).

Quanto più questo rapporto è alto, tanto più probabile è che i prezzi abbiano raggiunto livelli molto elevati e non coerenti con tassi di crescita “sani” della società. Ebbene, dai massimi di marzo il P/E del Nasdaq è sceso in maniera considerevole da 400 a poco più di 100, in linea con la media storica.

E una situazione analoga è riscontrabile nei singoli settori e titoli TMT. Per ritornare all’esempio di prima, va ricordato che AT&T aveva un P/E di 27 a marzo, mentre ora è di circa 11.5, in linea con gli ultimi anni.

2. Processi di ristrutturazione all’interno dei settori e delle singole società.

Molte di queste ultime in assenza di un business credibile sono destinate al fallimento, lasciando sul mercato solo quelle sane con possibilità di sopravvivere e produrre utili nel medio periodo.

Riprenderanno, inoltre, inevitabilmente, i processi di fusione ed acquisizione: a questo proposito, solo per citare l’ultimo esempio, va ricordato il caso di Telefonica de Espana e Portugal Telecom, che la scorsa settimana hanno deciso di unire le rispettive divisioni brasiliane di telefonia mobile, per creare nuove sinergie.

L’operazione rappresenta solo un primo passo che va verso un processo di consolidamento nel settore telecom, che proprio negli USA , in quanto mercato più maturo, potrà avere la sua massima realizzazione.

3. Combinazione ottimale di politiche fiscali e monetarie.

Negli Stati Uniti l’ampio surplus di bilancio potrà venire utilizzato per ridurre le tasse, e una politica monetaria espansiva potrà aiutare le aziende ad ottenere finanziamenti a costi inferiori, riducendo così l’onere del debito.

Questo è tanto più vero per gli operatori del settore telecom che, a causa dell’elevata spesa per investimenti attuata nell’ultimo biennio, presentano livelli molto elevati di indebitamento.

Alla luce di queste considerazioni, emerge come, nonostante la strada da fare sia ancora molta prima di tornare ai livelli di marzo 2000 in cui l’indice Nasdaq faceva segnare il suo massimo storico ad oltre 5000 punti, esistano oggi condizioni favorevoli affinché si concretizzi un recupero consistente e duraturo dei settori TMT nel corso del 2001. Ovviamente, Greenspan permettendo.