Questo articolo fa parte della serie Grecia fuori dall’euro
Lugano – La Grecia continua a bruciare gli ultimi residui di credibilità dell’euro proprio mentre il contesto economico internazionale ricorda sempre più quello dei mesi che precedettero la crisi finanziaria del 2008 il cui epicentro fu il fallimento della Lehman Brothers.
L’attuale crisi politica greca non sfocerà nell’uscita del Paese ellenico dall’Unione monetaria europea e nella resurrezione della vecchia dracma. Infatti alle prime dichiarazioni intransigenti di molti leader europei sono succedute prese di posizione molto più caute. L’Europa spera ora di condizionare il voto del prossimo 17 giugno offrendo anche la prospettiva di un allentamento delle misure di austerità concordate con Atene. Questo ritorno a più miti consigli è dovuto a molti motivi. Innanzitutto è apparso subito evidente che l’uscita della Grecia dall’euro avrebbe immediatamente innescato una crisi di grandi proporzioni.
L’effetto contagio avrebbe travolto la Spagna e molto probabilmente anche l’Italia. Dunque si sarebbe aperta una crisi dagli esiti imprevedibili. In secondo luogo il contagio no avrebbe riguardato unicamente i Paesi deboli europei, ma l’intero sistema bancario. Infatti molte banche europee (e soprattutto quelle francesi) sono ancora altamente esposte nei confronti della Grecia. In terzo luogo, l’inizio di una fuga dei capitali dalla Grecia e anche dalla Spagna crea il pericolo di un effetto domino sull’intero sistema bancario e non solo quello europeo. In quarto luogo al vertice del G8 gli Stati Uniti hanno posto il loro veto alla prospettiva dell’uscita della Grecia dall’euro. Il presidente Obama teme che una recrudescenza della crisi europea possa innescare una crisi di dimensioni internazionale tale da mettere in pericolo le sue possibilità di rielezione. E’ quindi probabile che in un qualche modo (sicuramente oneroso e pasticciato) l’Europa riuscirà ad evitare l’uscita della Grecia dall’euro.
Ma scongiurare questa eventualità, non vuole dire affatto avere superato la crisi. Oramai appare sempre più evidente e ineluttabile che i Paesi di Eurolandia sono a un bivio: o decidono di trasferire gran parte del debito dei Paesi deboli sulle spalle dei Paesi forti (attraverso gli Eurobonds oppure attraverso il massiccio acquisto di titoli di Stato dei Paesi deboli da parte della Bce) oppure devono preparare la spaccatura dell’euro. Non vi sono alternative e non vi sono nemmeno interventi esterni miracolosi che permettano di rimettere in carreggiata la barca della moneta unica europea. La conferma è venuta anche dalle ultime previsioni dell’OCSE. Ad esempio, l’OCSE stima che l’economia italiana si contrarrà dell’1,7% quest’anno e dello 0,4% l’anno prossimo. Prevede pure (come avevamo già scritto in questo blog) che senza un’altra manovra l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio. Le previsioni per gli altri Paesi europei in difficoltà sono altrettanto cupe. Dunque la congiuntura non permetterà di risollevare le sorti dei Paesi in difficoltà, né si vedono altre soluzioni miracolose all’orizzonte.
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Anzi, se si ritorna ad osservare il sistema bancario europeo si scopre che versa in situazioni critiche e che è possibile in qualsiasi momento che scoppi una nuova crisi bancaria, anche se la Banca centrale europea sta iniettando enormi quantità di capitali nelle banche attraverso l’Emergency Liquidity Assistance (Ela). I soldi vengono dati dalle vecchie banche centrali dopo aver ottenuto il consenso della Bce. Questi interventi di emergenza non vengono però resi noti. Si è saputo comunque che le banche greche avrebbero ricevuto nelle ultime settimane ben 100 miliardi di euro (e non sono pochi). Intanto l’International Institute of Finance ha comunicato che le sofferenze delle banche spagnole ammonterebbero a 260 miliardi euro, ossia a circa un quarto del PIL del Paese iberico. Insomma, siamo prossimi ad un vero e proprio collasso. Dunque, il sistema bancario europeo (e non solo quello spagnolo) è alle corde anche se pochi ne parlano.
Sia sul piano economico sia su quello bancario l’Europa è alle corde. Il vecchio Continente non può sperare in aiuti esterni. Le economie dei grandi Paesi emergenti stanno rallentando fortemente, gli Stati Uniti crescono a livelli modesti, i prezzi delle materie prime calano e fenomeni di stress finanziario si stanno manifestando anche al di fuori dell’Europa, come dimostrano le perdite accusate dal colosso bancario americano JP Morgan (che risulteranno ben superiori ai 2 miliardi di dollari già annunciati). Ci sono quindi condizioni economiche e finanziarie simili a quelle che si manifestarono nei mesi che precedettero la grande crisi finanziaria del 2008. Insomma, tutto lascia prevedere che l’estate sarà calda e che l’autunno sarà addirittura incandescente.
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