Roma – Spending review sul tavolo del Cdm oggi alle 15. Al vaglio la questione dei tagli nella spesa pubblica. Che potrebbero riguardare Difesa, Istruzione, Salute ed enti locali. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, illustrerà all’esecutivo le misure previste. Obiettivo: ottenere dai tagli alla spesa pubblica, previsti dalla spending review, almeno i quattro miliardi che potrebbero far saltare l’annunciata crescita dell’Iva di due punti dal prossimo ottobre.
Se si troverà l’accordo, infatti potrebbe non essere necessario aumentarla, evitando quella che da più parti è considerata una misura a rischio depressione, negativa per i consumi e contraria alla richiesta di crescita che da più parti viene posta a Monti.E se quello di evitare l’innalzamento dell’Iva è il primo obiettivo, con i tagli alla spesa pubblica, Monti cercherà anche di mettere in campo risorse per potersi garantire il pareggio di bilancio nel 2013, con un flessibilità, prevista da Bruxelles, close to balance (deficit dello 0,5%, vicino al pareggio). E magari anche per misure di crescita.
Le cifre in ballo, che oggi verranno chiarite partono da un minimo di 4-5 mld, fino ad almeno il doppio. Ma su come dovrà articolarsi la spending review i partiti -non solo quelli di opposizione, ma anche Pdl, Pd e Udc- nelle scorse ore hanno avvertito Monti.
Un no pressoché unanime a tagli in settori che vengono considerati vitali e da non penalizzare ulteriormente. Per il Pd, non sarebbero accettabili ulteriori tagli al comparto scuola. “Sono sicuro che Giarda pensa di entrare con il cacciavite in questi meccanismi perché usare la mazza non va bene”, ha detto Pier Luigi Bersani. Per il Pdl sono le forze dell’ordine a dover essere esentate dai tagli. “Chi vuole meno carabinieri e meno polizia sarà bocciato senza esitazioni. Ho avvertito Giarda da tempo”, dice Maurizio Gasparri.
E poi, basta tasse. Questo lo slogan del Pdl nella campagna per le amministrative. “Il Paese non può sopportare ulteriori tassazioni”, ribadisce Angelino Alfano. E ancora Antonio Di Pietro che rilancia l’eliminazione delle province sulla scia della Bce. Negli scorsi giorni i partiti avevano ipotizzato che i risparmi derivanti dalla spending review (e quelli dalla lotta all’evasione) permettessero un taglio della pressione fiscale che ormai supera il 45%.
In tutto questo, arriva il monito della Bce. Il richiamo dell’istituto di Francoforte in tema di accorpamento delle Province ha riacceso i riflettori su un tema da tempo nell’agenda di Parlamento e governo ed è stato salutato positivamente dall’Upi. Ma la strada percorsa dai progetti di riforma è arrivata apparentemente a meta con l’art. 23 del decreto legge 201, il cosiddetto ‘Salva Italia’, che assegna alle Province funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni.
Il tema continua a essere però quello della loro cancellazione, il cui iter era cominciato a maggio 2010 in occasione della messa a punto della Finanziaria, quando si era ipotizzata l’abolizione delle Province con meno di 220 mila abitanti. Ormai da anni il futuro delle Province è rimasto in bilico tra una serie numerosa di provvedimenti: come l’articolo 15 del decreto legge 138 del 13 agosto 2011, che prevedeva la soppressione delle Province con più di 300 mila abitanti e il divieto di istituire nuove Province in Regioni con meno di 500 mila abitanti. Prevedendo contestualmente un trasferimento alle Regioni delle funzioni delle Province soppresse. Ma poi si è ripartiti da zero con lo stop dato all’articolo 15 deciso con la legge 148 di settembre 2011 che ha convertito il decreto 138. Nello stesso mese Palazzo Chigi ha inviato alla Conferenza delle Regioni un ddl costituzionale (‘Soppressione degli enti intermedì), strumento accolto da subito con favore, soprattutto dai diretti interessati, che avevano criticato lo strumento della decretazione d’urgenza. Tutto annullato anche in questo caso, visto che a dicembre scorso il tema della cancellazione delle Province è tornato in un ddl, il 201 appunto. Come è noto, il testo prefigura un organo istituzionale di secondo livello, conferendo alla Provincia soltanto le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento della attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Il richiamo della Bce (accorpare le Province “sarebbe l’unica, vera misura di taglio dei costi della politica”) è stato accolto con favore dal’Upi.
“Sono mesi – ha detto il presidente dell’organizzazione Giuseppe Castiglione – che ribadiamo che l’unica riforma possibile è la razionalizzazione delle Province, l’accorpamento degli uffici periferici dello Stato, il taglio delle società e degli enti strumentali. Oggi (ieri, ndr) la Bce non fa che attestare che la proposta dell’Upi è la più innovativa e efficace. Forse adesso qualcuno ci darà ascolto”.
A dar man forte all’Upi interviene anche il presidente della Lega Umberto Bossi che precisa da Thiene: “le Province sono utili anche se c’é chi le vuole togliere a tutti i costi”. A chi gli ricordava il sollecito in tal senso lanciato dalla Bce Bossi ha replicato: “la Bce non mi pare una grande autorità nel merito delle istituzioni del nostro Paese. Invece con Monti – ha proseguito – c’é da preoccuparsi. Le Province non costano niente: quindi toglierle vorrebbe dire togliere un pezzo di organizzazione del territorio”. Il progetto complessivo di accorpamento consentirebbe addirittura 5 miliardi di risparmi, spiega il vicepresidente dell’Upi Antonio Saitta, secondo il quale la proposta della Bce “si sposa perfettamente con quella lanciata dal ministro Cancellieri che prevede la razionalizzazione degli Uffici periferici dello Stato”. D’accordo anche Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano, che valuta positivamente l’esortazione della Bce perché “non prevede una cancellazione indiscriminata”. Contro corrente il leader Idv Antonio Di Pietro, che risponde alla Bce spiegando che “per eliminare veramente gli sprechi della politica è necessaria l’abolizione delle Province”.