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(WSI) – Gli stessi giornali europei e americani che non perdevano occasione per segnalare ai loro lettori le colpe e i vizi del governo Berlusconi hanno accolto Romano Prodi e i suoi ministri con molte riserve e parecchi punti interrogativi. Non credo che la stampa straniera sia l’arbitro delle nostre vicende nazionali. Ma chi dava tanta importanza alle copertine dell’Economist e ai commenti del New York Times dovrebbe chiedersi perché i migliori giornali internazionali, soprattutto anglosassoni, non abbiano accolto il nuovo governo con un sospiro di sollievo e una nota di speranza. Esistono alcune ragioni. In primo luogo l’Occidente democratico è ormai uno spazio politico comune in cui ogni elezione, dovunque si svolga, incide sulla stabilità del sistema generale. Questo è particolarmente vero per l’Unione Europea e per i membri di Eurolandia. Se un Paese appartiene al mercato unico e usa la sua principale moneta, nessun membro dell’Unione può essere indifferente alle sue scelte politiche, economiche, finanziarie.
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L’Italia di Berlusconi suscitava sospetti e paure per due motivi. Il suo leader aveva un colossale conflitto di interessi ed era quindi una vistosa anomalia democratica. Il suo governo era una coalizione di cui faceva parte una forza politica (la Lega) che non crede allo spazio unico, diffida della globalizzazione, coltiva il suo elettorato con lusinghe populiste e lo solletica con tentazioni xenofobe. Ma questo non significa che le democrazie occidentali non abbiano, quando osservano l’Italia, altre preoccupazioni, altrettanto serie. Temono la fragilità del suo sistema politico, la litigiosità dei suoi esponenti, l’incoerenza delle sue coalizioni. Nella lista dei ministri di Romano Prodi hanno trovato con piacere Giuliano Amato, Pierluigi Bersani, Emma Bonino, Massimo D’Alema, Tommaso Pa- doa-Schioppa, Francesco Rutelli e qualche altra personalità di buon livello.
Li conoscono, li hanno visti al lavoro e sanno, come diceva la signora Thatcher, che sono persone con cui si può «parlare d’affari». Ma nella folla dei ministri e dei sottosegretari hanno trovato altre persone che appartengono invece al mondo della sinistra massimalista e che non hanno mai nascosto la loro simpatia per i centri sociali, i no global, i movimenti antagonisti, lo Stato dirigista, il pacifismo antiamericano, il terzomondismo rivoluzionario e quell’ambientalismo che vede in ogni opera pubblica la mano del capitalismo «rapace».
Non basta. Quando leggono le competenze di questi ministri o sottosegretari, i governi con cui dobbiamo vivere e lavorare scoprono che sono particolarmente presenti in quei dicasteri sociali da cui dipende in ultima analisi la riforma del Welfare e la modernizzazione dell’Italia. E si chiedono se le buone intenzioni di Prodi e dei suoi migliori collaboratori non corrano il rischio di essere frustrate da una quinta colonna di persone che hanno più familiarità con i cortei di quanta ne abbiano con la gestione di un Paese che ha urgente bisogno di rientrare in Europa. Per governare oggi non basta avere una maggioranza in Parlamento. Occorre anche essere in sintonia con la cultura politica e i principali orientamenti della grande famiglia europea e atlantica a cui apparteniamo. Esistono accanto a Prodi uomini e donne che ne sono perfettamente consapevoli. Ma dovranno dimostrare, non soltanto agli italiani, che sono loro a condurre il gioco e a rappresentare l’Italia.
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