Roma – Bocciato l’articolo uno del rendiconto generale dello Stato. Governo e maggioranza sono stati battuti a sorpresa in aula alla Camera. Le opposizioni hanno chiesto al governo in coro di prenderne atto e al presidente del Consiglio di racarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha deciso di sospendere la seduta. A Montecitorio è arrivato anche Silvio Berlusconi.
Fini sostiene che non e’ un evento insolito, “senza precedenti”, ma si sbaglia. anche goria e andreotti vennero “bocciati’ su una misura cosi’ importante come il rendiconto di bilancio (articolo 1 in questo caso), ma la differenza e’ che i due primi ministri di allora salirono immediatamente al colle.
In occasione del voto è esplosa la rabbia nei confronti del ministro dell’Economia. Il responsabile di via XX settembre non ha infatti partecipato alla votazione. “Ma ti pare – è lo sfogo di un parlamentare – che il ministro dell’Economia non vota sul rendiconto e se ne sta fermo sulla porta?”.
L’assenza avrebbe anche stizzito il premier Berlusconi che è stato visto discutere con il ministro. Anche perche’ la maggioranza non e’ stata raggiunta per un voto. Tremonti non aveva partecipato nemmeno al voto precedente, sul documento di economia e finanza, che invece guarda piu’ al futuro rispetto al voto che non e’ passato.
Momento convulso per il governo. Allo stato delle corse, non e’ possibile prevedere quali saranno gli esiti di quanto successo: 291 voti era la maggioranza richiesta sul rendiconto generale dell’assestamento di bilancio. Si tratta di fatto l’approvazione di tutto quanto successo l’anno scorso.
Fischia e grida sono partite dai seggi dell’opposizione, che chiede le dimissioni. Secondo Pierluigi Bersani, leader del Pd, “La maggioranza non esiste piu’. Salga al Colle”. L’esecutivo si appella a un incidente parlamentare da non enfatizzare. Umberto Bossi, leader della Lega Nord, si era assentato per un attimo e anche lui non ha potuto votare. Per Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori, il passo falso di oggi equivale a un chiaro messaggio di sfiducia su un “atto fondamentale su cui si fonda il governo”.