(WSI) – Un po’ meno storica (e un po’ meno irrealistica) di quanto annunciato in precedenza, la quotazione di Google si presenta in ogni caso come l’evento principale sul mercato di quella che una volta si chiamava new economy.
Ieri Google ha ridotto il prezzo indicativo da un range di 108-135 dollari a uno più abbordabile di 85-95. Anche il numero dei titoli messi in vendita scende da 11,6 a 5,5 milioni. La quota da aumento di capitale resta a 14 milioni. Nel loro insieme, le azioni offerte sono 19,6 milioni contro 25,7 milioni. La capitalizzazione scende così di 10 miliardi di dollari, portandola a 26 che, comunque, è una bella cifra. Il livello attuale era sovrastimato, secondo gli analisti.
Google non può valere più di Ford o di McDonald’s, non oggi che gli asset reali sono tornati a contare, a differenza dagli anni ruggenti della bolla speculativa.
Il motore di ricerca più cliccato al mondo si è rivelato un prodotto di successo, ma non sono più i tempi in cui gli annunci si autoalimentavano e gonfiavano i valori. Oggi gli investitori si chiedono da dove derivano gli introiti, quali sono gli asset di una società e, soprattutto, qual è la sua posizione di mercato, in altri termini fino a che punto può essere indebolita dalla concorrenza.
Nel caso di Google, la prima risposta resta volatile. I ricavi dipendono fondamentalmente dalla pubblicità su internet, una voce che già in passato si è rivelata sovradimensionata se non illusoria. Quanto al vantaggio competitivo, può essere eroso da Microsoft o da Yahoo, quindi il primato è destinato a non restare tale.
A queste considerazioni si aggiunge la debolezza del mercato tecnologico particolarmente in questa fase: il Nasdaq è sceso del 12% dal giugno scorso. Il terzo interrogativo deriva dal comportamento dei due fondatori Larry Page e Sergey Brin. Hanno commesso una gaffe (o fatto i furbi secondo i critici più acidi) con l’intervista a Playboy che ha violato i criteri di riservatezza da seguire prima di una ipo.
Hanno snobbato gli investitori istituzionali con la giustificazione di preferire un collocamento molto diffuso, al dettaglio, delle azioni. Infine, hanno schizzato l’Europa e non sono andati nemmeno a Londra per il loro road show. Nella City in parecchi hanno promesso che gliela faranno pagare. C’è da augurarsi che non sia così, perché la quotazione di Google potrebbe rianimare un settore che oggi, al contrario di cinque anni fa, appare sottovalutato.
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