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GLI ULTIMI GIORNI DI FIDEL CASTRO

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(WSI) – Cuba e’ in una situazione di pre-collasso economico, se non politico. Quasi come nel “periodo speciale” dei primi anni Novanta, quando 11 milioni di cubani erano alla fame (caduta l’ Unione Sovietica vennero a mancare $5 miliardi l’ anno di sussidi da Mosca) oggi, per via di una serie di errori strategici di Fidel Castro e per l’ aggressiva politica di George Bush, il paese vive sull’ orlo di una crisi che potrebbe portare presto alla rivolta nelle strade.

La violenza in verita’ e’ gia’ esplosa, anche se ogni episodio e’ stato soppresso dalla censura del governo cubano. Mentre la stampa estera di stanza nell’isola fa finta di non vedere. Ai primi di giugno in molti quartieri poveri e periferici della capitale La Habana, gruppi di persone hanno sfogato la loro rabbia dando alle fiamme diverse “tiende”, cioe’ negozi e grandi magazzini dove si vendono generi alimentari e capi d’abbigliamento. Le distruzioni provocate dagli incendi, le vetrine infrante dalle sassaiole e i tentativi di saccheggio hanno reso necessario l’intervento di truppe speciali del Minin (ministero dell’Interno) della polizia e dei vigili del fuoco (bomberos).

A scatenare i tumulti (non era mai accaduto che la gente si rivoltasse spontaneamente da quando Fidel Castro e’ al potere) e’ stato un provvedimento di emergenza divulgato dagli schermi della Televisione Cubana. “I negozi di alimentari, abbigliamento ed elettrodomestici resteranno chiusi in tutto il paese per consentire l’inventario della merce”, fu l’annuncio a sorpresa.

La chiusura della rudimentale rete commerciale cubana (dalla capitale alle province piu’ remote) e’ durata 10 giorni. Dieci giorni in cui e’ stato impossibile comprare un uovo, un pollo o un paio di scarpe. Un escamotage del governo questa “serrata”. Con la scusa della ricatalogazione dei beni, in realta’, l’obiettivo era varare un maxi-aumento generalizzato dei prezzi (in dollari) compreso tra il 30 e il 50% e in certi casi fino al 100%. Cio’ per compensare il calo di entrate su altri fronti. Alla riapertura dei negozi, non solo i cubani hanno trovato prezzi molto piu’ alti, ma gli scaffali mezzi vuoti: di gran parte della merce esposta prima, non c’era piu’ traccia. Tra gli alimentari per esempio e’ sparito il formaggio. I famosi, eccellenti sigari cubani – indipendentemente dalla marca – costano adesso tutti il 30% in piu’. Il che corrisponde a un incremento “monstre” e senza precedenti dell’inflazione.

A rendere ancor piu’ critico e instabile il clima politico-sociale hanno contribuito poi le recenti decisioni dell’ Hefe Maximo a favore di una ricentralizzazione dell’economia in stile assolutamente proto-sovietico. Mentre la Cina (con cui Castro dissente al 100%) riesce a mantenere un rigido controllo ideologico imponendo il comunismo, ma nello stesso tempo aprendo al capitalismo di mercato, il dittatore cubano ha varato invece una politica da “pugno di ferro” in chiave iper-conservatrice e anti-occidentale. Cio’ azzera e ridicolizza le poche aperture al free market degli anni passati (piccoli business, paladares, bed & breakfast privati).

La verita’ e’ che gli elementi di economia di mercato resi possibili dalla “dollarizzazione” stanno mettendo a repentaglio la Rivoluzione Cubana, ha dichiarato ai membri del Comitato Centrale l’uomo che prese il potere instaurando la sua personale dittatura nel lontano 1959.

Sono stati pero’ i numerosi episodi di corruzione nel settore turistico (il piu’ esposto alle aperture verso il mercato) a convincere El Comandante a fare marcia indietro. Nel dicembre 2003 lo shock ai vertici politici di La Habana fu grande, quando Juan José Vega responsabile di Cubacan, societa’ leader nella nuova galassia di aziende operanti in concorrenza tra loro nel turismo (alberghi, ristoranti, taxi e auto-noleggio) fu destituito e arrestato dalla mattina alla sera insieme a tre alti dirigenti. I servizi segreti scoprirono un cospicuo conto in dollari in una banca estera; Vega aveva “rubato” $7 milioni (una cifra immensa per gli standard di un cubano il cui stipendio e’ in media di $7 al mese) “sifonandoli” direttamente dalle casse di Cubacan.

Castro e’ andato su tutte le furie. E da quel momento ha cominciato a irrigidirsi e isolarsi sospettando di tutto e di tutti. La conseguenza e’ che oggi l’ intero settore “turismo”, dai vertici dello stesso Ministero del Turismo fino alle singole societa’ operative, e’ stato centralizzato e affidato alla direzione non di un manager, ma di un generale dell’ Esercito. Ai fedeli militari, infatti (Raul Castro, fratello di Fidel, e’ capo del Ministero della Difesa e “numero 2” del regime) “El Barba” sta consegnando le leve di tutti i dicasteri strategici (compresi Trasporti e Telecomunicazioni) essenziali per garantire il controllo della societa’ civile.

A peggiorare ancor piu’ lo scenario ci si e’ messo – dall’altra parte del Malecon – anche George Bush. Il Presidente degli Stati Uniti, d’accordo col fratello Jeb Bush (Governatore della Florida) ha emanato ai primi di luglio un decreto che limita le visite di cubano-americani nell’isola a un massimo di una ogni tre anni, e ha posto un tetto a $100 al mese all’invio di denaro dagli Usa. Bush si e’ confermato cosi’ in assoluto come il piu’ aggressivo, radicale, ideologico e conservatore tra i Presidenti degli Stati Uniti nei confronti di Cuba.

La miopia di questi provvedimenti quasi certamente fara’ perdere a Bush tra il 15 e il 20% del voto cubano-americano in Florida (circa 40.000 voti, secondo un sondaggio del William Velasquez Institute). La mossa ha lasciato tutti di stucco; poiche’ lo stato che gli consenti’ di battere Al Gore nel 2000 per appena 537 voti (con le note diatribe sulle elezioni “rubate”) stando cosi’ le cose il 2 novembre finira’ a John Kerry, prevedono gli osservatori politici locali. I cubani in Florida (che Castro definisce la “mafia terrorista di Miami”) sono infuriati con l’ amministrazione di Washington. Le loro famiglie soffrono. Inutile essere anti-castristi convinti e/o repubblicani registrati – raccontano a Miami – se un ex isolano non puo’ andare a visitare la madre morente a Cuba perche’ ha gia’ viaggiato una volta negli ultimi tre anni.

Con queste nuove limitazioni sull’ invio di denaro, la Casa Bianca ha fatto quindi diventare esplosiva la questione delle “rimesse” in dollari dagli Stati Uniti. Si tratta di una delle voci piu’ importanti del disastrato bilancio cubano con un totale di circa $1 miliardo l’anno. Secondo certe stime la cifra potrebbe dimezzarsi nel 2005 per effetto del “giro di vite” americano. E cio’ imprimerebbe maggior velocita’ al collasso economico dell’ economia (anche se Bush rischia di perdere la Florida).

L’ altra “voce” di bilancio cruciale per l’ isola caraibica e’ il turismo, con un fatturato compreso tra $1,0 e $1,6 miliardi l’ anno (rimangono molti dubbi su come viene calcolato il budget). Ecco perche’ l’ implosione potrebbe essere devastante gia’ l’ anno prossimo. I turisti erano restii a viaggiare ai tropici dopo l’ 11 settembre 2001, calarono nettamente nel 2002 per via della crisi economica mondiale, sono poi risaliti (+14%) nel 2003 in numero di ingressi, ma non in “entrate monetarie” complessive. Fatto sta che dopo gli ultimi aumenti dei prezzi, i turisti giudicheranno Cuba un paese non conveniente per gli standard internazionali: alberghi, ristoranti, taxi e spettacoli sono decisamente costosi, mentre i servizi offerti risultano scarsi, approssimativi o addirittura “da terzo mondo” (affittare un’ auto costa $110 al giorno e spesso ti consegnano un catorcio urtato e sfregiato con un motore da oltre 180.000 chilometri).

Per tutti questi motivi, secondo alcune fonti interne dell’ opposizione, Cuba potrebbe trovarsi a fronteggiare presto un nuovo “periodo speciale”. Castro dovra’ esibire un livello di repressione politica inversamente proporzionale al calare del benessere economico. Sedare il malcontento della popolazione diventera’ la priorita’ “numero 1” della polizia (gia’ oggi ci sono piu’ poliziotti a La Habana che a Manhattan); e dovra’ vedersela con l’ ira montante di milioni di cubani ridotti alla fame e angustiati dall’ assoluta mancanza di consumi (se hanno un lavoro full-time guadagnano in media tra i $60 e gli $80 l’ anno; e una televisione a colori cinese di 25 pollici “modello Panda” costa $300). Infine accadra’ che la ricentralizzazione e statalizzazione dei gangli vitali dell’ economia comincera’ a stridere sempre piu’ con la globalizzazione e le regole da libero mercato ormai non evitabili in ogni nazione del mondo.

Fidel Alejandro Castro Ruz il prossimo 13 agosto compira’ 78 anni. Secondo le ultime voci nei circoli habaneri “alti” il presidente cubano e’ malato di Alzheimer (il rumor circola con insistenza) e quanto a lungo possa ancora vivere resta il segreto meglio custodito dell’ isola. Eppure, anche i piu’ romantici filo-castristi cominciano oggi a capire che l’Hefe Maximo, invece di volersi far ricordare per aver avviato una politica di “correzione” dei tanti eccessi del capitalismo basata sull’ idea di sviluppo sostenibile, irrigidendosi proprio nell’ ultimo scorcio della sua vita (mentre lascia marcire centinaia di dissidenti politici in galera) sta rischiando adesso di provocare il crollo rovinoso del suo personale esperimento di comunismo “alla tropicana”. E a pagare saranno, come al solito, i poveri cubani.