Società

GLI PSICO/POVERI

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Modesta proposta per Bruno Vespa. Dopo aver interrogato Piero Fassino e Silvio Berlusconi sul presunto impoverimento o meno degli italiani negli anni dell’euro, faccia un colpo di telefono a New York.

Cerchi al TIIA-Cref Institute di John Ameriks, che è senior research fellow presso uno dei più seri osservatori sulle abitudini di consumo, risparmio e investimento del cittadino americano. Oppure cerchi a Mercer Street, al Dipartimento di Economia della New York University, chiedendo di John Leahy o di Andrew Caplin. Il trio è ben oliato, insieme ha realizzato in questi anni una bella pila di studi su come la classica teoria del ciclo vitale del risparmio – fu il Nobel Franco Modigliani a elaborarla – si concili o venga modificata dalle evidenze di questi anni.

Per esempio, su come gli individui che mostrano un carattere più “pianificatore” tendano a mostrare comunque carenze di autocontrollo sui massimali delle proprie carte di credito. Piuttosto che su quale sia la ripartizione tra consumi e risparmi che a parità di reddito disponibile realizzano individui con diverse soglie di memoria (c’è una misura classica della deviazione standard di memoria sui consumi individuali autodichiarati, nota come formula Piccione-Rubinstein dai due economisti del comportamento che l’hanno messa a punto nel 1997).

Non sono esercizi ecopsicologici da talk show o chiacchiere alla Paolo Crepet. In una società come quella americana, molto più orientata ai consumi della nostra, dove le famiglie sono abituate a risparmiare assai meno, e l’intero sistema del credito è volto a rendere sostenibile un livello d’indebitamento superiore a quella che da noi verrebbe avvertita come soglia di sicurezza, accumulare evidenze statistiche su tutti questi aspetti è vitale per banche, assicurazioni e fondi d’investimento.

Ma la ragione per cui varrebbe la pena di pagare un biglietto aereo a uno dei tre economisti americani, per invitarlo a una prima serata televisiva, sta nell’ultimo paper che i tre moschettieri hanno appena cofirmato, e che è regolarmente consultabile per cinque dollari sulla rete del National Bureau of Economics Research collegato all’Università di Cambridge. “The absent-minded consumer”, si intitola. Il consumatore inconsapevole. Meglio, smemorato. Meglio ancora, alla napoletana, “scurdariello”. L’obiettivo della ricerca era verificare quanto fosse vero l’assunto della caduta dei consumi personali legati al pensionamento. Hanno lavorato su 1600 risposte, date da un campione rappresentativo di famiglie americane a un approfondito questionario sui profili di spesa.

E l’interesse per il dibattito che divide l’Italia non sta tanto nella loro scoperta principale, cioè che il livello dei consumi individuali scende già molto più fortemente del previsto negli anni immediatamente precedenti al pensionamento, anche se nelle risposte è lo scalino dell’uscita dal lavoro attivo a venire dichiarata come soglia di impoverimento. Il conto? Alle elezioni… Il punto è un altro. E’ che lo “smemoramento” sugli acquisti effettivamente realizzati è molto superiore a quanto ci si aspettasse. In altre parole il consumatore dichiara di comprare meno di quanto abbia effettivamente fatto, con tanto di diverse percentuali di regressione a seconda si tratti di abiti, alimentari, oppure acquisti più impegnativi come automobili o computer.

L’incertezza sugli acquisti più infrequenti, per esempio gli abiti, può raggiungere tassi del 75 per cento. Ed è inevitabile che tutto ciò possa tradursi poi in sondaggi demoscopici totalmente svianti, quando si chiede ai consumatori se hanno speso di più nell’anno precedente, e se pensano di comprare di meno nell’anno a venire. E’ esattamente questo il criterio seguito per esempio nell’indagine realizzata dall’istituto Ipr marketing pubblicata sul Sole24Ore del 2 febbraio scorso, secondo la quale ben il 67 per cento degli italiani pensa di non riuscire a risparmiare neppure un euro, nel 2004. C’è di più. E di più preoccupante. Quanto più il “consumatore scurdariello” viene pressato alla consapevolezza di quanto realmente abbia o stia spendendo, tanto più diventa rimarchevole la sua tendenza a stringere la cinghia e a comprare di meno.

I tre economisti americani collegano l’effetto alle fluttuazioni cicliche dell’economia. Quando si diffondono i dati sulla minor crescita, i consumi rallentano “oltre” la soglia delle diminuite disponibilità personali, per pura induzione psicologica. Effetto che, applicato all’Italia di oggi, spiega quanto vi sia dietro la martellante campagna di Repubblica. Una fine mente “behavourista”, come si dice in gergo tecnico. Che spara ogni giorno paginate sull’impoverimento, perché sa che l’effetto sarà comunque quello di rallentare la crescita. Per presentare il conto, naturalmente, alle elezioni.

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